C’è in Italia un pensiero post-colonialista dell’archeologia?

Appunti presi sulla spiaggia di Preveli a Creta il 17 luglio 2011 e scarsamente rielaborati in seguito. Il discorso merita di essere approfondito.

C’è in Italia un pensiero post-colonialista dell’archeologia? Mi pare di no. Non credo che l’archeologia colonialista abbia necessariamente a che fare con il fascismo: lo precede (in alcuni casi di diversi decenni, come peraltro il colonialismo in generale) e gli è sopravvissuta. Probabilmente questa identificazione contribuisce ad azzerare il problema coloniale e l’ipotesi post-colonialista come una questione già risolta.

Eppure il problema c’è. Riesco a pensare ad almeno tre punti di partenza:

  1. il metodo di scavo, sia in relazione all’uso di manodopera locale, sia più in generale nelle tecniche e strategie;
  2. il rapporto con l’agenda culturale locale e la ricerca archeologica, storica, etc. del paese/paesi ospitanti;
  3. il rapporto con l’esotico e collocamento del luogo dove si opera in una dimensione “altra”, l’identificazione del presente con il passato e innamoramento temporaneo dell’esotico.

Il punto 1 è forse quello più semplice da sviscerare e modellizzare: grandi aree o sondaggi, scavi pluridecennali o di breve durata, pochi archeologi e molti operai oppure pochi operai e molti archeologi, scavo oppure ricognizione. E ancora: approccio oggettivo, antichistico e definito oppure cangiante, riflessivo. Un sottoproblema è anche da ravvisare nelle forme gerarchiche del lavoro: pochi capi con precisi obiettivi e ampie conoscenze possono essere seguiti da giovani studenti e ricercatori in formazione con interessi specifici, anche di dettaglio, oppure essere semplicemente al seguito, in un luogo come un altro (e da qui la sciocca attesa di un metodo universale, buono per ogni contesto). Temo che questa situazione sia molto diffusa, non solo nell’ambito della ricerca italiana. In termini generali, può essere descritto come una mancanza o carenza di consapevolezza, che peraltro è tipica del post-colonialismo “per necessità”: il colonialismo vero conosce la lo storia passata e recente anche perché ha bisogno di essere a stretto contatto con il potere. L’ignoranza della storia recente, che è strettamente legata all’“appiattimento” del punto 3, è un punto piuttosto importante, che fa anche capire come un approccio binario al problema non possa essere esaustivo.

Ritornando sul rapporto con il fascismo, mi sembra importante rimarcare una accezione ampia del concetto di colonialismo, in cui la ricerca delle origini (dalla remota preistoria alle innumerevoli “albe della civiltà”) o del mediterraneo impero antico non sono gli unici svolgimenti del tema. Come collocare altrimenti l’archeologia delle crociate o delle potenze mercantili, e il militarismo che studia fortificazioni d’ogni epoca?


Commenti

2 risposte a “C’è in Italia un pensiero post-colonialista dell’archeologia?”

  1. […] problemi etici e culturali. Da diversi anni mi pongo il problema di cosa ci stiamo a fare noi archeologi a casa degli altri. Ci sono oltre 150 missioni archeologiche italiane all’estero, limitandosi solo a quelle che […]

  2. […] il discorso iniziato qualche tempo fa su archeologia italiana e colonialismo, metto sul piatto altri […]

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