Antinoe brucia. Colonialismo e archeologia romana

Antinoe è in preda ai saccheggi incontrollati. Non da ieri, come aveva già ampiamente segnalato Cinzia dal Maso su Filelleni. La città fondata da Adriano è abbandonata a se stessa e gli abitanti preferiscono i guadagni facili degli oggetti venduti “illegalmente” alla tutela del sito archeologico con cui convivono. Come sempre in questi casi, la situazione drammatica genera indignazione in un pugno di addetti ai lavori: non abbiamo abbastanza vite per firmare tutte le petizioni a difesa del museo che chiude, del sito distrutto dalla strada, del monumento deturpato dalla nuova costruzione, del paesaggio rovinato dalle pale eoliche. Antinoe però non è un sito come tutti gli altri, e infatti la notizia (con i suoi tempi) arriva sulle pagine de La Stampa. Maurizio Assalto il 7 giugno scorso ha raccontato questa brutta storia, raccogliendola direttamente dalla voce di Rosario Pintaudi, uno degli archeologi italiani (papirologi? egittologi? siamo così provinciali) che svolge ricerche nella antica e sfortunata Antinoupolis. Leggiamo il passo in cui Assalto ci offre la sua incitazione ad indignarci:

Una situazione drammatica, che dovrebbe coinvolgere in particolare noi italiani non soltanto perché Antinoe è stata fondata da un imperatore romano, sia pure di origine iberica, ma anche perché al sito lavorano dal 1935 missioni del nostro Paese – dopo che a fine ’800, in capo a un secolo di devastazioni di ogni genere, vi erano passati i francesi, con Albert Gayet, e prima della Grande guerra gli inglesi alla ricerca di papiri. Eppure, tra una crisi economica e una politica, da Roma nessuno si è fatto sentire. Le stesse autorità egiziane non sembravano troppo interessate, e si capisce, perché i lasciti romani sono sentiti come estranei al patrimonio locale (tanto è vero che si sono mosse soltanto quando hanno saputo che era minacciato anche un tempio costruito in zona da Ramesse II), e del resto un turista che si avventura sulle sponde del Nilo cerca le vestigia dei faraoni più che quelle dei dominatori successivi.

Ricapitoliamo:

  1. Adriano era di origine iberica (quasi extracomunitario e pure frocio, diciamolo) ma comunque è stato un imperatore romano, roba nostra
  2. tutto il territorio interessato dall’Impero romano, o perlomeno tutte le città fondate da imperatori romani, devono essere di immediato interesse non solo dei cittadini italiani, ma anche del Governo (“Roma”)
  3. per fortuna nel 1935 sono arrivati i bravi archeologi italiani a salvare Antinoe dai precedenti saccheggiatori e dai cercatori di papiri
  4. rimanendo sulle sponde del Nilo per appena un migliaio di anni, il regno tolemaico e l’Impero romano sono chiaramente “dominatori” dell’Egitto e per questo le loro vestigia vengono liberamente sottoposte a saccheggio

Tanto per capirci, sono 9 anni che partecipo a una missione archeologica all’estero, con qualche problema politico-militare in meno rispetto a quella in questione, ma con tutti gli stessi problemi etici e culturali. Da diversi anni mi pongo il problema di cosa ci stiamo a fare noi archeologi a casa degli altri. Ci sono oltre 150 missioni archeologiche italiane all’estero, limitandosi solo a quelle che il Ministero degli Esteri sostiene (solo in parte, ça va sans dir), tra le quali peraltro l’Egitto occupa il primo posto insieme alla Turchia (14 missioni). Ho avuto modo di ascoltare i ricercatori fiorentini alcuni anni fa e ricordo nelle loro parole la stessa sensazione di fragilità per l’equilibrio precario che sempre si crea tra missioni archeologiche e comunità locali (all’estero, in Egitto, in Grecia così come in Maremma e in Salento). Il patrimonio archeologico non è solo di chi ci abita a fianco, ci mancherebbe. Ma per secoli noi civili sapiens sapiens abbiamo “salvato” questo patrimonio strappandolo alle sue radici, decidendo cosa era di valore e cosa no, costruendo una fiaba crudele di impero rinnovato. Leggete chi e come ha partecipato alla lunga stagione degli scavi italiani in Egitto sul sito dell’Istituto Papirologico “G.Vitelli” per farvi un’idea. Personaggi di altissimo livello come Ernesto Schiaparelli (Senatore del Regno), Carlo Anti (rettore dell’Università di Padova), Evaristo Breccia (rettore dell’Università di Pisa). Ma dal 1935 ad oggi la missione civilizzatrice non ha funzionato. Colpa dei selvaggi abitanti di Sheikh ‘Ibada? Forse no, non solo. Rileggete la storia degli scavi e concentratevi sui nomi dei luoghi: Hermopolis Magna, Ossirinco, Tebtynis, Ankyronpolis, Antinoe. Ci muoviamo nel presente degli altri ignorandolo, abbiamo solo occhi per il nostro passato, che era lì, nello stesso posto dove si scava alla ricerca di papiri. Un esame di coscienza… si può rinunciare a indignarci allora? No.

Ma il valore di questo patrimonio non è assoluto, scolpito nella pietra (scusate la facile ironia). In Italia lo abbiamo scritto nella Costituzione, e tanti se ne fregano comunque. E forse l’indignazione non è ancora giunta alle orecchie di Assalto, ma nello stesso modo vengono regolarmente depredati anche i siti di età dinastica e predinastica in Egitto, che non sono certamente “estranei al patrimonio locale”. In Siria, in Iraq, in Libia, abbiamo visto le stesse immagini, la stessa indignazione verso persone ignoranti o disperate o proprio infami che distruggono il proprio passato o quello di un popolo intero per soldi (pochi o tanti, dipende dagli acquirenti, quasi tutti maschi bianchi). Abbiamo visto un po’ meno indignazione quando persone coltissime stringevano amicizia con chi distrugge il presente e il futuro del popolo siriano. Se il dubbio è tra regimi repressivi e devastazione del patrimonio archeologico, c’è qualcosa che non va nella nostra missione civilizzatrice. Se su un quotidiano “colto” come La Stampa si leggono queste amabili idee colonialiste, basta chiudere gli occhi e sembra davvero di essere tornati al 1935 e ad un imperatore torinese.


Commenti

Una risposta a “Antinoe brucia. Colonialismo e archeologia romana”

  1. Ste sei magistrale!!!

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