L’università italiana fa schifo. Su questo possiamo essere d’accordo, senza preoccuparsi troppo di quanto possano dire i vari emissari governativi di entrambe le parti.
Il motivo numero 0 ovviamente è la mancanza di fondi. La maggior parte delle università in Italia sono statali e lo Stato non spende abbastanza denaro per garantire la qualità dell’insegnamento e della ricerca.
Ma non è questo che oggi voglio affrontare. Vorrei provare a entrare a piccoli passi dentro lo schifo. Vedere come fa schifo. In quali modi si esprime l’inettitudine del sistema università italiano.
Niente campus
In Italia non esistono campus. Frutto in parte della secolare tradizione di insegnamento, in parte della tradizionale posizione centrale delle facoltà rispetto alle città, perché qui da noi le università sono nate quando non c’erano i treni, gli autobus. Quando sono nate, però, le università il campus lo avevano. Lo erano, anzi. Padova, Bologna sono solo alcuni esempi.
Noi invece no. Usciamo di casa (o magari ce ne andiamo di casa) per andare all’università dove si svolge una serie limitata di operazioni connesse al loro funzionamento: lezioni, esami, studiare in biblioteca (ma vedi sotto), per chi li ha i laboratori. Andare all’università è un lavoro, e nemmeno dei meno faticosi, anche se ovviamente cerchiamo di divertirci, ogni tanto. Nessuno sembra tenere conto del fatto che abbiamo fatto una scelta di vita, la scelta più importante della nostra vita (la prima che possiamo prendere quasi autonomamente e consapevolmente) e che siamo dei cervelli e dei corpi umani in pieno vigore e potenza, con l’entusiasmo dei nostri vent’anni.
Non ci sono campus, però. Noi possiamo andare all’università come al supermercato, prendere ciò per cui paghiamo (tanto), e tornare a casa.
Niente libri
Nelle biblioteche delle università italiane non ci sono libri. Non ci sono soldi per pagare le bollette dell’elettricità e del riscaldamento, volete forse che ci si possa permettere l’acquisto di materiale librario? Non solo gli studenti italiani non sono minimamente capaci di scrivere in una lingua dell’Unione Europea (italiano incluso), ma nemmeno di leggere. E ci vuole proprio un bell’impegno a raccontare che le generazioni cambiano e che leggiamo Internet e che vogliamo nuove forme di comunicazione. Sti cazzi, non leggiamo niente più di quello che sia strettamente necessario. I libri li fotocopiamo, o ce li facciamo prestare, e preferiamo comprare Dylan Dog (e vorrei vedere…) con gli stessi soldi. Avere una biblioteca personale non serve più a niente. Leggere nemmeno. Non è leggendo che si fa carriera d’altra parte.
Troppi diritti
I giovani dell’UDU si lamentano e vogliono l’abolizione dei corsi a numero chiuso. Io preferirei che ce ne fossero un bel po’ di più. Seguiamo il ragionamento.
Io dovrei essere libero di scegliere cosa fare nella mia vita, incluso il mio corso di studi. Nessuno deve potermi impedire di frequentare un corso di studi, anche se il numero di posti di lavoro nel settore è limitato, anche se io non sono il più preparato sull’argomento, anche se una volta strappata la laurea andrò a fare il commesso da intimissimi. Nessuno dovrebbe. Nemmeno lo Stato, che spende 4 € ogni volta che io ne spendo 1 di tasse per la mia preparazione universitaria. Nemmeno lo Stato, a cui quotidianamente migliaia di precari si rivolgono pretendendo un posto di lavoro, come se si fosse in uno stato socialista e lo Stato fosse l’arbitro del mercato del lavoro.
Quindi voi volete studiare quello che vi pare, lo Stato poi deve darvi un posto di lavoro che corrisponda alle vostre aspettative e vi consenta di vivere al livello economico che vi aspettate in base al vostro titolo di studio.
Forse non ci siamo. Nemmeno in Cina i laureati lavorano.
Troppe tasse
Comunque, paghiamo troppe tasse. Se uno, per caso, fosse bravo, dovrebbe essere invogliato a fare bene, a diventare uno bravo davvero, uno che fa delle cose importanti, smettere di essere un numero come tanti dentro il database anagrafico e fiscale. L’ambiente non stimola la bravura. Ci appiattisce. Paghiamo le tasse, e ne paghiamo talmente tante che non è possibile che qualcuno si sogni di non farci laureare, di non farci andare fuori come degli incapaci.
…continua
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