Stefano Costa

There's more than potsherds out here

Faccio l’archeologo e vivo a Genova

Categoria: Museums

  • Africa. Le collezioni dimenticate

    Africa. Le collezioni dimenticate

    È finita a Torino la mostra “Africa. Le collezioni dimenticate” allestita nelle sale di Palazzo Chiablese. Sono riuscito a visitare la mostra pochi giorni fa. Mi è piaciuta molto.

    La mostra è stata organizzata dai Musei Reali di Torino, dalla Direzione Regionale Musei Piemonte e dal Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino, ed è una intensa passeggiata nel voyeurismo e collezionismo italiano durante il lungo periodo della scoperta, conquista e razzia dell’Africa, fino agli orrori della guerra in Etiopia. Il percorso si snoda sui passi di molti personaggi, tutti uomini italiani: esploratori, ingegneri al servizio dell’espansione belga nel Congo, affaristi, membri della casa reale. Tutti accomunati dall’attività coloniale nelle sue diverse fasi storiche, e tutti prontamente rimossi dalla memoria collettiva al termine della seconda guerra mondiale. Altrettanto dimenticate le collezioni di oggetti africani che questi personaggi hanno fatto confluire a vario titolo nei musei italiani e in questo caso piemontesi.

    Ad accompagnare la visita le installazioni di Bekele Mekonnen, in particolare il “site specific” dal titolo “The smoking table” ma anche le clip sonore lungo il percorso.

    La mostra ha agitato tantissimo i fascisti dichiarati e quelli non dichiarati perché non usa giri di parole, perché chiama il colonialismo e il razzismo con il loro nome, perché mette le voci africane sullo stesso piano di quelle italiane. Il ricco programma pubblico ha coinvolto molte persone, anche originarie dell’Africa.

    Parte dell'installazione “The smoking table” con scritte di colori diversi. In rosso sotto un braccio muscoloso: conspiracy, betrayal, greed, injustice, deception. In azzurro sotto due mani strette: honesty, fraternity, generosity, impartiality"
    Parte dell’installazione “The smoking table” con scritte di colori diversi. In rosso sotto un braccio muscoloso: conspiracy, betrayal, greed, injustice, deception. In azzurro sotto due mani strette: honesty, fraternity, generosity, impartiality”

    Le polemiche, tutte politiche e ben poco culturali, suonano come un brusio fastidioso se consideriamo il lavoro lunghissimo di preparazione della mostra, la quantità di musei con collezioni africane in tutto il Piemonte, la ricchezza del catalogo che affronta in dettaglio molte delle questioni sollevate ad arte, ad esempio il salario pagato ai lavoratori della Società Agricola Italo-Somala, veri “forzati della terra” anche nelle parole degli italiani dell’epoca.

    Il paradosso sta nel fatto che questa mostra è molto blanda, se la inquadriamo nella cornice europea e occidentale bianca dei musei di antropologia e archeologia: dalla complessa operazione di continuo adattamento del Musée du Quai Branly di Parigi, al documentario Dahomey di Mati Diop che ha vinto l’Orso d’oro del Festival di Berlino pochi giorni fa, per finire al lavoro avviato nel 2016 da quello che oggi si chiama Museo delle Civiltà. È molto eloquente l’intervento del direttore Andrea Villani a un convegno di poche settimane fa, che potete rivedere su YouTube. Ho apprezzato questo passaggio:

    Quello che allora aveva un senso oggi può non solo non avere un senso, ma può anche essere tossico. [..] La storia non si cambia. I musei non cambiano la storia, ma possono raccontarla per intero, accettando di mettere in crisi quello che è venuto prima

    E poiché in Italia non siamo solo colonizzatori ma anche colonizzati e depredati, è bene sapere che alcuni musei degli USA sono seriamente alle prese con la provenienza delle proprie collezioni.

  • La villa romana di Bussana, una diretta streaming

    Lo scorso 12 dicembre ho organizzato e presentato un evento in diretta streaming dedicato alla villa romana di Bussana, uno dei siti archeologici più conosciuti di Sanremo.

    La “locandina” dell’evento

    Non mi sono mai occupato nello specifico di questo sito quindi ho pensato di coinvolgere altri colleghi, persone che hanno svolto ricerche e scavi, che hanno lavorato nel contesto paesaggistico circostante. Tutto è stato composto sotto forma di una lunga diretta di oltre tre ore e mezza, in cui ho presentato gli interventi registrati, incluse due visite virtuali, intervallate dai miei commenti e dalle risposte alle domande del pubblico, soprattutto nella seconda parte.

    In questi lunghi mesi di pandemia e lockdown ho partecipato come tanti (anche se certamente non tutti, sia chiaro) a svariate videoriunioni, ho creato contenuti registrati per la diffusione da parte di istituzioni culturali e ho anche tenuto una lezione universitaria. Ma erano tutte situazioni con attori ben precisi, anche quando solo spettatori. Con l’evento dedicato alla villa di Bussana per la prima volta ho sperimentato il parlare al pubblico in diretta digitale. Parlare in pubblico è per me un fatto non quotidiano ma accade regolarmente, in particolare per conferenze e visite guidate. In questo caso la vera complicazione è stato improvvisarsi anche regista e presentatore.

    La diretta streaming è stata trasmessa sulla pagina Facebook della Soprintendenza: chi mi conosce da più tempo sa che non ho più un account Facebook da molti anni e che non apprezzo nessuno dei social network proprietari che hanno così tanto peso nelle nostre vite. Tuttavia, attualmente il MiBACT segue semplicemente le abitudini comuni a tutte le pubbliche amministrazioni e istituzioni culturali, addirittura elevando a sistema la moltitudine di profili social su un nuovo portale dedicato ‒ CulturaItaliaOnline ‒ realizzato “per aggregare in un unico luogo i contenuti Social pubblicati dalle principali istituzioni culturali italiane sui propri account”. I servizi contemplati sono unicamente Facebook, Instagram e Youtube.

    Quando è venuto il momento di decidere se annullare del tutto la visita guidata prevista oppure trasformarla in un evento digitale, avevo già fatto qualche prova con OBS Studio, il programma che consente di organizzare contenuti di tipi diversi e trasmettere in diretta streaming su Facebook, Youtube e molti altri servizi. OBS Studio ha molte funzionalità ed è abbastanza intuitivo, quindi permette di trasformarsi in “registi” improvvisati senza troppe difficoltà. La mia apparecchiatura domestica non era delle migliori ma tutto sommato è stata accettabile. L’inesperienza mi ha portato a sopravvalutare l’utilità della mia connessione ultraveloce, senza tenere conto della scarsa potenza del mio computer, che ha reso scarsa la qualità del video in alcuni momenti, soprattutto mentre stavo trasmettendo video registrati e contemporaneamente seguendo la diretta streaming per verificare che tutto funzionasse a dovere. La latenza di circa 30 secondi ha causato alcuni momenti di “buio” o di parlato tagliato. Non sono riuscito a trovare un modo efficace per ascoltare i contenuti registrati all’interno di OBS in modo da seguire in modo più preciso la fine delle scene preparate e il ritorno alla diretta.

    Quindi la prossima volta, se possibile, dovrebbero essere due persone a occuparsi della diretta (forse nemmeno fisicamente nello stesso posto) in modo che non sia necessario sovraccaricare una singola postazione. Una scheda video dedicata avrebbe comunque migliorato di molto le prestazioni di transcodifica in diretta, e forse anche la conversione dei video registrati in formati più adatti avrebbe aiutato.

    Stanno iniziando a funzionare strumenti liberi per lo streaming indipendente dalle grandi piattaforme, come owncast o Peertube 3.0. Questo è sicuramente uno sviluppo interessante, anche perché si possono comunque usare i social mass media come cassa di risonanza per la promozione senza per questo tenere il contenuto in diretta sui loro spazi e sui loro archivi capienti ma smemorati – vi sfido infatti anche a distanza di pochi giorni a trovare la registrazione se non ne conoscete l’esistenza. Per il momento potete rivedere la registrazione della diretta a questo indirizzo:

    https://fb.watch/2xrEyvQC8Y/

    Il buon successo della diretta e delle visualizzazioni successive (ad oggi oltre 800) mi fa ovviamente pensare che ci sia grande bisogno di questo formato di comunicazione diretto e umano, certamente più coinvolgente di una conferenza anche se molto meno approfondito, a maggior ragione quando le conferenze si svolgono dentro un’area archeologica.

  • I visitatori dell’Acquario di Genova, edizione 2015

    I visitatori dell’Acquario di Genova, edizione 2015

    Lo scorso anno avevamo visto, in una panoramica sui musei di Genova, come l’Acquario, l’attrazione cittadina più conosciuta, più pubblicizzata e più visitata, abbia perso visitatori in modo costante negli ultimi anni, arrivando negli ultimi quattro anni per ben tre volte (2012, 2014, 2015) sotto la soglia psicologica di un milione di visitatori.

    I dati pubblicati di recente nel Cruscotto dell’economia genovese, pur approssimativi, confermano la continua stagnazione: nel 2015 l’Acquario ha totalizzato 927000 presenze, con un calo percentuale del 6.1%. E pensare che lo scorso anno avevo azzardato una previsione ottimistica:

    Sicuramente sarà la struttura che beneficerà maggiormente dell’afflusso di Expo, e i filmati pubblicitari sono già diffusi nelle stazioni ferroviarie e in altri spazi affollati.

    Invece niente, anzi: durante i mesi di Expo i visitatori sono stati costantemente inferiori rispetto ai periodi estivi degli anni precedenti. Ma come è possibile? La risposta è abbastanza elementare: nel 2015 sono calati anche i visitatori dei musei, mentre sono aumentati leggermente gli arrivi turistici. Non è l’acquario e non sono i musei a tenere a galla la giovane vocazione turistica di Genova.

    I numeri crudi sull’affluenza all’Acquario di Genova sono schietti. Tutti i grafici presentati sotto si basano sui dati pubblicati dal Comune di Genova.

    Grafico che mostra i visitatori dell'Acquario di Genova dal 2010 (1166000) al 2015 (927000)
    I visitatori dell’Acquario di Genova dal 2010 al 2015 presentati dal Cruscotto sull’economia genovese

    Se li osserviamo su un arco temporale più ampio di quello presentato nel cruscotto, il calo costante appare ancora più vistoso.

     

    Grafico con i visitatori dell'Acquario di Genova dal 1994 al 2015, anno per anno
    I visitatori dell’Acquario di Genova dal 1994 al 2015

    Lo scorporo mensile dei dati è ancora più interessante perché consente di esaminare i dati destagionalizzati.

    Graico del trend destagionalizzato del numero di visitatori all'Acquario di Genova
    Trend destagionalizzato del numero di visitatori all’Acquario di Genova

    Pur altalenante, la curva del trend è inequivocabilmente rivolta verso il basso. Non capisco quindi su quali basi Giuseppe Costa possa parlare di

    un periodo decisamente più roseo per l’Acquario con «numeri di molti vicini al periodo pre-crisi».

    (tralasciamo le valutazioni di pura fantasia che compaiono nelle interviste realizzate nella stessa occasione sui “milioni di visitatori” attratti ogni anno a Genova dall’Acquario)

    Peraltro, a gennaio lo stesso Costa aveva ammesso, commentando gli stessi dati, che

    L’anno appena trascorso, che noi calcoliamo dall’1 novembre 2014 al 31 ottobre 2015, è stato il peggiore della storia

    Nel periodo pre-crisi (2008, si suppone), l’Acquario aveva un milione e trecentomila visitatori all’anno, mentre nel 2015 è fermo a 927mila.

    Dato il ritardo con cui vengono pubblicati i dati, non siamo in grado di sapere se la primavera del 2016 sia stata davvero più rosea, e ci piacerebbe poter fare queste valutazioni in tempi più rapidi, perché sono importanti per capire cosa sta succedendo prima che sia già l’anno prossimo. Per esempio, se a metà di Expo avessimo già saputo che l’Acquario non stava riscuotendo particolare successo di pubblico, si sarebbe potuta cambiare strategia di comunicazione. Per ora, ci dobbiamo accontentare dell’ottimismo con con si prevedono un milione e centomila visitatori.

  • Quanti visitatori nei musei di Genova?

    Quanti visitatori nei musei di Genova?

    In attesa che vengano pubblicati i dati aggiornati al 2014, diamo uno sguardo ai dati numerici sui visitatori nei musei civici di Genova negli ultimi anni. La situazione è stabile, ma sembra esserci una stagnazione e l’Acquario non gira. Purtroppo, mancano i dati su Palazzo Ducale.

    Visitatori nei musei civici e Acquario di Genova 1996-2013
    Visitatori nei musei civici e Acquario di Genova 1996-2013

    Nel 2004 Genova è stata Capitale Europea della Cultura. Ce lo ricordiamo bene. I cantieri che sembravano infiniti, le facciate riportate a lustro, le inaugurazioni, le mostre. Qualcosa è rimasto, Genova adesso è una meta turistica, sia per gli italiani sia per gli stranieri. La ricettività inizia a stare al pari con la domanda. Abbiamo un city brand. Ma i musei non sono solo turismo, sono prima di tutto dei cittadini, delle scolaresche che si spostano rumorosamente in autobus, dei gruppi di mezza età, delle famiglie. Quante persone visitano i musei di Genova?

    Dove sono i dati

    Stuzzicato dagli open data rilasciati dalla Fondazione Torino Musei, che peraltro non sono aggiornati da più di un anno, ho cercato quel che c’era in rete sui musei genovesi, quelli civici in particolare (ci sono anche Palazzo Spinola e Palazzo Reale, statali, i cui dati di affluenza sono disponibili). Forse sembrerà ovvio, ma ho trovato davvero poco, veri e propri dati sparsi.

    I dati dal 2004 al 2013 sono compresi nell’Annuario statistico del Comune di Genova (un file XLS dentro uno ZIP). I dati sui musei sono nel file 06 ISTRUZIONE E CULTURA/6.2 Cultura/TAV 07.XLS. Quelli sull’Acquario sono nel file 12 TURISMO/TAV13.XLS.

    Per qualche motivo i dati sui musei dal 1996 al 2008 sono nelle serie storiche (link diretto al file XLS). Le stesse serie storiche abbracciano gli anni dal 1993 al 2008 per l’Acquario (link diretto al file XLS).

    Nel Notiziario statistico n° 3 del 2014 (file PDF) troviamo i dati sul turismo, che includono i visitatori mensili dell’Acquario nel 2013 e fino a settembre 2014, ma non quelli dei musei.

    Il dettaglio maggiore di cui disponiamo è quello mensile per l’Acquario negli ultimi 21 mesi, mentre in tutti gli altri casi siamo fermi al numero totale di visitatori annuali per singolo museo. È difficile fare qualunque valutazione in rapporto agli afflussi turistici, se non a livello molto generale, quindi in questa puntata non ne parlerò proprio.

    I dati sparsi vanno ripuliti e ricomposti per essere elaborati. È un lavoro lento e noioso, in cui sicuramente si possono fare errori. Quello che ho ripulito per ora è in questo repository su GitHub, ovviamente in formato CSV.

    Cosa dicono i dati

    Una premessa doverosa: i numeri sono, per l’appunto, numeri. Un museo poco visitato non è più brutto degli altri, né gestito da persone meno competenti, impegnate, capaci.

    I musei di Genova ospitano collezioni uniche, e soprattutto organizzano una quantità incredibile di eventi ‒ ogni settimana sono decine e spaziano da incontri serali a visite guidate, presentazioni, concerti, laboratori per grandi e piccoli. Nell’ultima newsletter che ho ricevuto posso contare 16 mostre in corso.

    Ricordatevene leggendo il seguito.

    I musei

    Il 2004 ha segnato in positivo un punto di non ritorno per la maggior parte dei musei civici genovesi. Il balzo è evidente dal grafico.

    Visitatori nei Musei civici di Genova 1996-2013
    Visitatori nei Musei civici di Genova 1996-2013

    Il dettaglio dei singoli musei è un po’ meno brillante, perché si vedono tramontare realtà come il Museo di di storia e cultura contadina e il Museo di arte contemporanea. Il Galata Museo del mare è in affanno (non sorprendente considerati i numeri dell’Acquario?), anche se rimane il museo più visitato.

    Molti musei hanno andamenti altalenanti, magari legati a mostre (↑) o chiusure (↓) temporanee, su cui naturalmente sarebbe importante avere dati.

    Visitatori nei musei di Genova: il dettaglio dei singoli musei (1996-2013)
    Visitatori nei musei di Genova: il dettaglio dei singoli musei (1996-2013)

    I Numeri solidi

    I numeri più solidi a mio parere sono quelli dei musei di Storia naturale e di Sant’Agostino, gli unici ad avere una quantità considerevole di visitatori associata ad una crescita costante negli ultimi anni. Anche il Museo di Arte Orientale ha avuto un buon andamento nell’ultimo periodo. Sono queste le realtà che meriterebbero di essere analizzate più in dettaglio per individuare fattori positivi su cui costruire, volendo, una strategia più ampia.

    L’Acquario

    L’Acquario di Genova non è un museo, almeno non nella tradizionale accezione italiana. Il numero di visitatori dell’Acquario è in calo costante. Dopo il 2004 solo nel 2007 e nel 2013 si è registrato un lieve aumento, ma non ci sono segnali di inversione della tendenza ‒ alla stagnazione più che al ribasso, perché comunque si tratta di una realtà molto forte che non può scomparire da un momento all’altro. Rimane il dubbio sulla sostenibilità di questa impresa, che ha costi altissimi per i visitatori  (24 €) ed evidentemente non riesce a trainare da sola il resto della città, pur rimanendo di gran lunga la struttura più visitata con circa un milione di visitatori ogni anno. Sicuramente sarà la struttura che beneficerà maggiormente dell’afflusso di Expo, e i filmati pubblicitari sono già diffusi nelle stazioni ferroviarie e in altri spazi affollati. Come la Capitale Europea della Cultura, anche Expo può dare uno slancio di medio periodo, ma solo se si saprà lavorare con le lenti multifocali.

    Visitatori Acquario di Genova 1994-2013
    Visitatori Acquario di Genova 1994-2013

    Cosa manca

    I grandi assenti di questa panoramica sono naturalmente i dati su Palazzo Ducale, che non è un museo vero e proprio ma è il principale spazio culturale pubblico della città. Dobbiamo accontentarci di notizie (500mila visitatori nel 2012, chiusura record con 125mila visitatori per Frida Kahlo) ma da una fondazione pubblica sinceramente vogliamo molto di più. Ci vogliono gli open data.

    ~

    Questo post è il primo con l’hashtag #d969humanities. Stay tuned.

    La foto di copertina è “Genova, more than this?”. L’ho scattata io qualche mese fa.

  • #MuseumWeek: riflessioni a freddo

    #MuseumWeek: riflessioni a freddo

    Il mese scorso abbiamo celebrato la prima #MuseumWeek, una settimana di alta visibilità social per i musei di alcuni paesi, tra cui l’Italia ‒ tutta su Twitter. Se ne è parlato molto tra gli addetti ai lavori e mi sembra che tutti siano rimasti contenti. Anche io ho partecipato alla #MuseumWeek, occupandomi dell’account @archeoliguria della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria (dove lavoro). Siamo quasi in fondo alla lista dei musei italiani che hanno aderito ufficialmente.

    Già in corso d’opera c’erano state raccolte di dubbi, più sullo svolgimento pratico che sull’iniziativa in generale, come ha scritto Linkiesta. Qui vorrei raccogliere, un po’ per riflessione un po’ per mugugno, alcuni elementi di debolezza che ho colto durante la settimana e che mi sembrano importanti per tutte le prossime volte che parteciperemo a una iniziativa simile.

    Anzitutto, i tempi. La #MuseumWeek si è svolta dal 24 al 30 marzo 2014, e la notizia è comparsa sul blog di Twitter il 10 marzo, cioè due settimane prima. Per essere una iniziativa a cui dovevano partecipare centinaia di istituzioni in mezza Europa, il preavviso è stato scarso. Ma il motivo è presto detto: è stata organizzata completamente top-down, con date e tempistiche fissate in anticipo, fino alla definizione degli argomenti da trattare. Mi direte: è il bello del social, l’improvvisazione, e tu sei un bradipo! Vi rispondo che con 5 musei da coordinare distribuiti in tutta la regione, con una infrastruttura tecnologica non proprio all’avanguardia non è stato facilei bradipi quasi sempre fanno 4 o 5 cose diverse contemporaneamente e non dedicano l’intera giornata ai social media. I bradipi più bradipi sono stati quelli che già durante la #MuseumWeek mandavano e-mail chiedendo di inviare via e-mail dei messaggi di 140 caratteri che poi avrebbero provveduto a far pubblicare su un certo account istituzionale molto seguito…

    A chi si iscriveva mandando una e-mail a museumweek2014@gmail.com veniva inviata da Massimiliano D’Ostilio (della società TTA) una breve presentazione in cui si scoprivano i temi del giorno e le modalità previste di interazione. Si tratta secondo me di un documento banale, di taglio puramente promozionale, in cui sono stati elencati solo benefici e nessun rischio (l’ABC della progettazione, credo). Tanto per fare due esempi concreti: i musei italiani hanno corso il rischio di essere insultati per i noti problemi di gestione del patrimonio (durante quella settimana non credo sia successo, ma capita), mentre gli utenti hanno rischiato di trovarsi la timeline inondata di contenuti non sempre interessanti (e credo che in alcuni giorni questo sia successo davvero).

    La scaletta delle tematiche era molto adatta a musei grandi e tradizionali, ruotando in modo determinante intorno alle collezioni, le opere e i quadri, insomma non il massimo per piccoli musei e aree archeologiche. In effetti se rileggete il post di presentazione questa preferenza è chiara, dal calibro dei musei citati (e speriamo coinvolti nell’ideazione, almeno loro). Sopra ho scritto che questi sono appunti per la prossima volta che parteciperemo proprio perché la #MuseumWeek, bella ed entusiasmante, era una offerta da prendere o lasciare ‒ anche se qualche museo l’ha interpretata a modo suo.

    Ma insomma, tutti questi sono inutili mugugni perché la #MuseumWeek è stata una figata pazzesca e siamo stati nei trending topic per una settimana intera e abbiamo moltiplicato i follower e abbiamo avuto n-mila interazioni… forse. Siamo stati nei trending topic ma eravamo veramente tanti quindi era abbastanza scontato, oltre al fatto che Twitter potrebbe aver deciso di mettere la #MuseumWeek nei trending topic. Abbiamo moltiplicato i follower, indubbiamente, e per molte realtà piccole e agli esordi social questo è stato importante: @archeoliguria è passata nell’arco della settimana da 200 a 300 follower circa. Abbiamo avuto davvero molte interazioni, che non mi sono messo a contare, ma sulla qualità di queste interazioni ho qualche dubbio: anzitutto c’è stato un fortissimo senso di cooperazione tra le realtà medio-piccole e ci siamo fatti coraggio a vicenda, ritwittando i messaggi degli altri musei, commentando e rispondendo alle domande del giorno tra di noi, mentre il pubblico “esterno” ha interagito meno (potrei dire molto meno, se avessi dei numeri). Giornate come #AskTheCurator e #GetCreative hanno mostrato come il pubblico, anche quando si entusiasma, è abbastanza pigro o semplicemente non è abituato a parlare con il museo ‒ anche perché c’è una ampia fetta di popolazione “esperta” di archeologi, storici dell’arte, guide turistiche che forse ha partecipato più per senso di appartenenza che per curiosità verso qualcosa di nuovo. Generalizzando, mi dispiace invece notare come i grandi musei e poli museali abbiano scelto ancora una volta di rimanere in modalità broadcasting, sfruttando tutta la loro visibilità per mostrarsi al pubblico con cui non hanno minimamente interagito. Delle vere superstar. A proposito di superstar, è rimasto un po’ in sordina anche l’esercito sempre più numeroso dei personaggi parlanti che hanno iniziato a popolare Twitter dopo il successo dei due tamarri bronzi di Riace (a proposito: che fine avranno fatto?)

    Tutto da buttare? Assolutamente no. Ma non è tutto #oro quel che #luccica e non credo, come ha invece scritto @insopportabile, che Twitter abbia assolto al ruolo di un ministero della cultura organizzando la #MuseumWeek. Il successo lo abbiamo fatto noi ma credo che ci voglia ben altro per trasferire il successo social ai musei in carne e ossa: non dobbiamo vendere niente, ma raccontare tantissimo.