Stefano Costa

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Faccio l’archeologo e vivo a Genova

Tag: archeologia

  • Harris Matrix Data Package: version 2022 of the hmdp tool with new features for the creation of stratigraphy data packages

    A few weeks ago I presented a new version of the hmdp tool at the ARCHEOFOSS conference in Rome. You can find the archived presentation on Zenodo.

    Harris Matrix Data Package is a proposal for a standardised digital format of archaeological stratigraphy datasets in CSV format, following the table schema developed by Thomas S. Dye for the hm Lisp package, augmented with a metadata descriptor (datapackage.json) that enables consistency checks and streamlined data access with the Frictionless Data tools and programming libraries. In the standard, each dataset consists of various CSV tables and a metadata descriptor, forming a data package. I proposed this standard in 2019 at a previous ARCHEOFOSS conference based on a 2015 work by Dye and Buck [zotpressInText item=”{12096:TZPPQB42},{12096:G2QPMZQT}”].

    Based on this proposal, hmdp is a command line program for working with archaeological stratigraphy data in the Harris Matrix Data Package format.

    This new version adds an “init” command, that will create an empty data package with the correct metadata. You can find the archived source code of hmdp version 2022.10.16 on Zenodo, too.

    The hmdp init command works both interactively and with explicit command line parameters, and it is centered around the idea that in the Harris Matrix Data Package:

    • each Harris Matrix is a data package
    • there is 1 data descriptor
    • there are from 2 to 7 CSV tables
    • each CSV table is a resource

    The two resources that MUST be present are:

    • contexts
    • observations

    Most often, excavation data will make use of three other resources:

    • inferences
    • periods
    • phases

    Only in case there are radiocarbon dates or other absolute chronology available the two resources should be used:

    • events
    • event-order

    With the above outline, default presets are defined, and choosing a preset will create the corresponding CSV files (resources). The CSV files are created only with the standard column headers, data must be filled by the user.

    The current released version of hmdp init can create a Harris Matrix Data Package from scratch, e.g. in a new empty directory. Support for recognizing existing CSV files and adding the metadata descriptor is in progress.

    The project home page is at https://www.iosa.it/software/harris-matrix/ and the development repository is on Codeberg at https://codeberg.org/steko/harris-matrix-data-package

    References

    [zotpressInTextBib]

  • Archeologia nel Mediterraneo e colonialismo: seconda puntata

    Questo articolo è stato scritto nel 2012 ed è rimasto in bozze per 8 anni. Mi pare ancora degno di vedere la luce del sole e lo pubblico tale quale con qualche aggiornamento ai link.

    Riprendendo il discorso iniziato qualche tempo fa su archeologia italiana e colonialismo, metto sul piatto altri appunti.

    Il primo punto importante, che ho dato per scontato in precedenza, è che tutto questo ragionamento si applica a quel particolare sottoinsieme dell’archeologia rappresentato dalla ricerca universitaria o accademica in genere, l’unica che in modo sistematico si dedica alla ricerca sul campo all’estero.

    Non penso che ci siano davvero parametri per giudicare se un ricercatore o un gruppo di ricerca siano colonialisti o meno. I problemi di cui ho parlato sono dei temi di riflessione, che conducono il discorso nell’ambito della questione colonialista e fanno diventare una gomena il filo che nessuno può negare ci leghi al colonialismo con la F maiuscola. Sul rapporto tra colonialismo e fascismo di ieri nell’Italia di oggi ci sono spunti in più di un punto di questa intervista a Wu Ming 2. Incluso un riferimento alla rivista Interventions: international journal of postcolonial studies, purtroppo costosissima.

    Avere una pratica colonialista facendo archeologia a volte è semplicemente un fatto. Non essere colonialisti facendo archeologia nel Mediterraneo è difficile, secondo me. Avere una teoria colonialista è una cosa diversa.

    Io penso che nel ventunesimo secolo la parola chiave sia strumentalità: ovvero intendere un luogo, con il suo patrimonio archeologico, semplicemente come uno strumento (indispensabile) per condurre la propria ricerca e per accrescere il proprio prestigio accademico. È evidente che questo concetto non è limitato alle ricerche svolte all’estero, e già questo mi sembra un elemento molto importante, perché apre la strada ad una riflessione sul “colonialismo dietro casa”, sugli archeologi che arrivano da fuori a imporre la loro agenda ad una comunità, a una società.

    Va considerato il punto importante dei finanziamenti per la ricerca. In Italia una parte importante della ricerca all’estero è finanziata dal Ministero degli Esteri (il quadro è ben documentato sul sito web del Ministero). Di questo tema ho avuto modo di parlare con Andrew Bevan alcuni mesi fa. Il confronto con le esperienze straniere ‒ in modo particolare di ex (?) potenze coloniali ‒ è importante ma per qualche motivo mi voglio soffermare sull’Italia e sugli italiani.

    Il discorso sulla ricerca dell’esotico è molto complesso, e probabilmente va nella direzione di una riflessione più profonda sull’identità. Ma identità personale e identità politica si incontrano sempre, anche quando non vorremmo.

    E non dimentichiamo infine di pensare anche all’Italia colonizzata. Non credo esista un elenco di tutte le missioni di ricerca archeologica straniere in Italia. Ma certamente sarebbe interessante averlo, e sarebbe molto lungo. Non solo si scava e si cammina per l’Italia, ma si organizzano anche incontri di alto profilo (e non da ieri).

  • ArcheoFOSS: un saluto e buon viaggio

    ArcheoFOSS: un saluto e buon viaggio

    Un mese fa, pochi giorni dopo essere rientrato dall’incontro FOSS4G-IT di Padova, ho mandato una email a un gruppetto di 8 persone che, presenti fisicamente o meno a Padova, hanno seguito da vicino le vicende di ArcheoFOSS negli ultimi tempi. Con questa email ho salutato ArcheoFOSS e adesso, sedimentati un po’ i pensieri, pubblico questo articolo con un augurio di buon viaggio.

    L’edizione 2019 di ArcheoFOSS è stata ottima, sia dal punto di vista degli interventi sia come partecipazione numerica ai workshop. Ha funzionato abbastanza l’integrazione con gli amici di FOSS4G-IT, nonostante una certa ghettizzazione (aula lontana, niente streaming, niente computer pronto) di cui è rimasta traccia anche nei comunicati stampa conclusivi e nelle discussioni organizzative di coda. Non ho comunque potuto fare a meno di notare negli interventi un certo distacco tra chi presenta in modo occasionale e chi ha seguito negli anni un percorso collettivo di crescita, tra chi ha “usato l’open” e chi costruisce strumenti condivisi, conoscenza trasversale.

    Gli incontri però non si chiudono con la fine dell’ultima presentazione in sala. Come abbiamo detto a Padova, con grande sforzo mio, di Saverio Giulio Malatesta e soprattutto di Piergiovanna Grossi sono quasi ultimati gli atti del 2018 che saranno pubblicati in un supplemento di Archeologia e Calcolatori grazie alla disponibilità di Paola Moscati e alla volontà di tanti autori di autotassarsi per contribuire alla pubblicazione del volume.

    Ma veniamo al dunque.

    Condivido una decisione che ho maturato serenamente negli ultimi 6-12 mesi, cioè quella di fare un passo indietro e “uscire” da ArcheoFOSS per la prima volta dal lontano 2006 a Grosseto (quando non avevamo ancora questo nome, ma uno molto più lungo). Questo non perché io non condivida lo spirito che anima questo gruppo di persone, che anzi credo di continuare a coltivare e diffondere. Né perché io sia “arrivato” a occupare una posizione in soprintendenza dove non ho più bisogno di ArcheoFOSS come biglietto da visita (non che sia mai successo…).

    Vorrei metaforicamente uscire dalla porta dopo aver salutato, a differenza di tante altre persone che hanno fatto anche molto (penso a chi ha organizzato il workshop nelle edizioni 2006, 2010, 2011, 2012, 2013) senza poi avvisare in modo chiaro di non essere più a bordo.

    Semplicemente, se così posso dire, mi manca il tempo per fare con entusiasmo e passione le cose indispensabili (organizzare il workshop, pubblicare gli atti, ma anche tenere il tutto vivo per 12 mesi l’anno, gestire il sito, il forum) e non ho le energie per farle nemmeno in modo approssimativo. Non è l’unico impegno di questo genere che ho deciso di chiudere (a breve, per gli affezionati, altri aggiornamenti).

    ArcheoFOSS mi piace sempre moltissimo, anche se mi sembrano sempre più flebili l’anima quantitativa, quella metodologica, quella di rivendicazione che proprio nel 2006 erano un ingrediente fondamentale. Senza quelle, io penso che non si vada lontano. Penso anche che ArcheoFOSS troverebbe uno spazio più coerente a rapporto con realtà e incontri archeologici invece che recitando la parte “archeo” di un altro contenitore legato al software libero (perché così manca un confronto critico, una valutazione sulla bontà archeologica dei lavori presentati, e soprattutto la possibilità di incidere direttamente sulla pratica del settore). Questo ovviamente vale nella situazione attuale, in cui non ci sono risorse per organizzare un incontro autonomo.

    Passando alle questioni pratiche, come avevo anticipato, ho chiuso il forum Discorsi su ArcheoFOSS lasciando in sola lettura i contenuti pubblici. Questo ha suscitato una “lettera aperta” da parte di Emanuel Demetrescu, che dopo averla condivisa con me ha voluto pubblicarla anche su Facebook, non so con quale riscontro.

    Inoltre ho deciso che non farò parte del comitato scientifico per prossimi incontri.

    Mi piacerebbe moltissimo partecipare in futuro ad ArcheoFOSS presentando quello che credo di continuare a fare (software libero, banche dati, formati aperti). Quando è iniziata questa avventura avevo 23 anni e adesso ne ho quasi 36: non esagero dicendo che ho imparato moltissimo dalle tante persone che ho avuto la fortuna di incontrare in questi anni, e ne sono pubblicamente e dichiaratamente riconoscente. Ci incontreremo ancora.

    Nel frattempo, vi auguro buon viaggio.

  • La fine dell’archeologia in Italia

    La fine dell’archeologia in Italia

    L’archeologia italiana è finita. C’è chi dice che non è vero e c’è chi non se n’è ancora accorto, ma molti elementi puntano in questa direzione e si stanno verificando tutti in un tempo brevissimo. Provo a farvi una panoramica, se mi riesce.

    1. La riforma del MiBACT

    Per chi non lo sapesse ancora, con DPCM 171/2014 il MiBACT ha avviato una riforma che ogni tanto viene ripresa, a cui viene aggiunto un altro capitolo, come una specie di romanzo che non ha mai fine. Dopo l’accorpamento delle soprintendenze storico-artistiche e architettonico-paesaggistiche adesso è il turno di quelle archeologiche. Non importa che tutta la struttura periferica del ministero sia paralizzata da un anno proprio per mettere in atto la prima fase di questa riforma, con il passaggio di beni e competenze ai nuovi poli museale e agli sbandierati musei autonomi. Non importa che le grandi inefficienze nella gestione attuale siano da imputare ai continui cambiamenti a cui la macchina già lenta del ministero è sottoposta.

    Adesso, con avallo e sostegno di personalità come Giuliano Volpe, si riparte con una nuova puntata della riforma, prima ancora di aver minimamente concluso il ciclo precedente. Stupisce la ferocia da storyteller con cui si dipinge la beltà tutta verbale e teorica di questi nuovi assetti da venire, che tradisce una profonda ignoranza dello stato effettivo delle cose. E a sentire Volpe, pare non sia nemmeno finita e che ci debba essere ancora una fase 3 in cui, udite udite, si avvierà una integrazione tra università (a proposito di istituzioni moribonde) e MiBACT. Io mi domando se e come chi è rimasto miracolosamente a galla dopo un decennio abbondante di sfascio del sistema universitario schiacciato da riforme su riforme pensa che sia questo il modo per migliorare l’efficienza dell’apparato che deve tutelare il patrimonio culturale italiano. Domanda retorica. Io sono miope, mi mancano 5 diottrie, che ci volete fare.

    Qualunque sia l’assetto sulla carta che questa riforma vuole dare al ministero, di fatto l’unico risultato effettivo e già ben visibile è la sua totale paralisi ed inefficacia, in tempi di efficientissimo silenzio-assenso. Non diamo il beneficio del dubbio ad un governo che ha dimostrato di avere a cuore solo gli interessi di pochi, e pensiamo ‒ con il rassoio di Occam in mano ‒ che sia pienamente raggiunto l’obiettivo di eliminare un fastidioso ostacolo alle attività economiche tipiche del rilancio post-crisi come edilizia, gli scempi paesaggistici, etc. e non a caso altri ostacoli hanno subito sorte anche peggiore in questi stessi giorni (abolito il Corpo Forestale dello Stato).

    Temo che a poco servano gli strali quotidiani di Tomaso Montanari, che ha sostituito Salvatore Settis nel ruolo di Grillo parlante. È un gioco delle parti che al massimo rassicura quei pochi che ancora si preoccupano di questi problemi di non essere soli, e di aver assolto la pratica dell’indignazione tramite la lettura sulle pagine di un quotidiano.

    2. L’abolizione dell’archeologia preventiva

    L’archeologia però dà veramente fastidio a Matteo Renzi. Infatti, come voci bene informate dicevano da un paio di mesi, nelle ultime bozze della nuova versione del Codice degli Appalti gli artt. 95 e 96 sulla “archeologia preventiva” sono completamente scomparsi. Fonti di alto livello del MiBACT confermano questa versione dei fatti, lasciando un minuscolo spiraglio per la possibile inclusione della stessa norma nel Codice dei BBCC. Ma vedete al punto sopra per immaginare con quale efficacia potrà essere attuata l’archeologia preventiva fuori dai cardini del sistema più ampio dei lavori pubblici (lasciamo perdere le opere private, eh). Siamo in pieno spregio alla Convenzione della Valletta, che pure con una tipica operazione renziana di fumo negli occhi era stata ratificata a 23 anni di distanza dal Parlamento italiano (altre operazioni di fumo negli occhi: unioni civili, Freedom of Information Act … per creduloni di ogni ordine e grado).

    Ovviamente questa riforma avviene al di fuori del MiBACT, e quindi conferma che la scure sull’archeologia è un unico disegno più ampio, di cui il ministero è solo spettatore passivo (la riforma è stata d’altra parte scritta dal prof. Lorenzo Casini).

    Vedremo nei prossimi anni chi sarà tanto ingenuo da voler intraprendere studi archeologici all’università. Ormai è passata la stagione delle iscrizioni facili e ben pochi atenei hanno le carte per attrarre studenti verso le materie umanistiche in generale, figuriamoci verso una professione fallita in partenza. Una volta ridotti all’osso gli iscritti ai corsi universitari di archeologia vedremo chi sarà ancora così soddisfatto del nuovo assetto e delle nuove libertà di ricerca concesse agli atenei se è vero che anche gli articoli 88 e 89 del Codice cadranno sotto la scure della riforma.

    3 . La fine delle piccole cose

    Qualche giorno fa è stata diffusa la notizia del taglio dei fondi del MiBACT a FastiOnline, un progetto unico nel suo genere di raccolta e condivisione dei dati sugli scavi archeologici in molti paesi, che aveva avuto uno slancio particolarmente bello con l’obbligo per tutti i concessionari di scavo di contribuire ad aggiornare la banca dati. Ma dimensione internazionale, open data, trasparenza e standardizzazione sono tutte voci assenti dal nuovo corso dell’archeologia italiana e magari qualche concessionario di scavo sarà contento di non dover più rendere conto delle proprie goffe performance sul campo. Nelle nuove, bellissime soprintendenze uniche su base interprovinciale si farà una tutela di puro cabotaggio burocratico, entro confini ancora più ristretti dei precedenti (perché, lo sappiamo benissimo, l’archeologia italiana di Stato non brilla né per ecumenismo né per ampiezza di vedute).

    Qualche settimana fa tutte queste notizie mi sembravano già gravi sintomi, e non ho avuto il tempo di scrivere tutto in un unico foglio, su cui mostrarvi come unire i puntini. Le voci di corridoio si confermano sempre, e Matteo Renzi ci ha abituati a svolgere i suoi obiettivi con efficienza inumana. A breve quindi le nuove soprintendenze uniche, ancora in pieno marasma riorganizzativo, saranno trasferite sotto i nuovi uffici territoriali dello Stato, per garantire la loro totale servitù nei confronti della politica, in uno dei paesi più intrisi di corruzione e malaffare.

    Rimane solo una soddisfazione: il riconoscimento che l’archeologia ha un ruolo veramente straordinario nella società, trasformativo dei rapporti di potere e di accesso al paesaggio, e questo ruolo dà fastidio a chi vuole mantenere lo status quo a proprio vantaggio. Di questo possiamo essere orgogliosi e continuare come possiamo a infastidire il popolo italiano presentandogli i frammenti del suo passato.

    Immagine di copertina: Woodcut illustration of Cassandra’s prophecy of the fall of Troy (at left) and her death (at right) – Penn Provenance Project by kladcat [CC BY 2.0], via Wikimedia Commons

  • L’archeologa. Un topos narrativo piccolo e schifoso

    Sembra che a due famosi autori italiani sia piaciuto specificare che la coprotagonista femminile di un loro lavoro è laureata in archeologia. Detta così non c’è niente di male, ma in effetti non mi piace.

    Che la pop fiction italiana sia in stato comatoso non sono io a dirlo, ma lo ripeto volentieri, come preambolo.

    La piaga in cui oggi vorrei mettere il dito è la “laureata in archeologia”, ed è un topos narrativo piccolo piccolo, un topolino, ma anche schifoso. Dico che è piccolo perché l’ho trovato solo due volte. E magari sono il 100%, non so.

    Ma Lucarelli e Carofiglio sono due autori importanti, no? Mi dico che vale la pena di buttare giù questi pensieri.

    Ecco qui la prima apparizione: la seconda puntata della seconda serie dell’ispettore Coliandro (2×02), “Sesso e segreti”. La bella Claudia è la gnocca dell’episodio: è laureata in archeologia, ma preferisce giustamente guadagnare 5000 € a serata come escort piuttosto che fare la fame da archeologa. Chiaramente, lui si invaghisce di lei, lei di lui e vanno a letto.

    La seconda apparizione, più recente, è nell’ultimo di Carofiglio, “La regola dell’equilibrio”, una performance piuttosto imbolsita, fitta di autocompiacimento (soprattutto letterario-musicale) e cliché, sceneggiatura televisiva anzi che no. E la coprotagonista, l’inverosimile e poliedrica Annapaola Doria, è laureata in Archeologia (con la A maiuscola). Tra l’altro proprio nella pagina successiva gliela dà.

    imageOvviamente diciamo subito che non mi è piaciuto trovare questo accostamento, che è per di più un inutile orpello, visto che entrambi i personaggi potrebbero filare tranquillamente senza avere una laurea, o comunque senza averla in archeologia. Non ho niente contro le sex workers belle e spregiudicate, né con le investigatrici private dalla vita amorosa avventurosa. Anzi, proprio perché usare queste due categorie come stereotipo è già penoso, mi sembra ancora più scemo aggiungerci sopra la laurea in archeologia come peperoncino. Certo, la narrativa pop è fatta tessendo stereotipi, quindi da qualche parte dovranno pur pescare…

    La laurea in archeologia è sensuale? Esotica? La laurea in archeologia qualifica una persona come … sognatrice? investigatrice? attraente? procace? arrapata? Provo a domandarmelo, a concentrarmi non tanto sulle archeologhe vere, perché che siano un’altra cosa è fuori discussione, ma sulla percezione che il pubblico ha di chi segue questa strada, anzitutto dando per scontato che non ci sia modo di farlo davvero, l’archeologa (o, casomai, che un’archeologa non sia compatibile con una trama pop, anche di genere). Oppure sbaglio tutto, dovrei provare compiacimento? Magari ci sono altre categorie più tartassate e nemmeno lo so, non ci ho mai fatto caso.

  • evidentemente, no

    Non fa per me evidentemente tenere un blog, come non fa per me “straggiare” il tempo su MySpace e altre simili amenità telematiche. Tant’è, con questo blog ci provo, dai.Anzitutto, se fossi furbo starei studiando, ché domani ho il primo esame in questa uniSI. Ma si sa, l’astuzia non è il mio forte.

    Passo invece parecchio tempo a leggere, spizzicare, libri in inglese (alla lunga l’inglese scritto lo capisco abbastanza bene).

    Oggi la giornata è storta: ierisera ho perduto il mio millenario berretto da Capitan Nostromo (Ele?!) e quindi sono molto triste. Ieri comunque ad onor del vero Federico I Marri “il Pontefice” ha strappato il mitico pezzo di carta, meglio noto come Laurea, quindi altri fatti meno degni di nota sono passati in secondo piano, giustamente.

    Stare in casa non è il massimo. Non avrò mai il tempo per “tenere la casa in ordine”, e non è una paranoia pinocchiesca, è l’esigenza FISICA di stare in un luogo non-ostile – anche se non esattamente amichevole.

    In questi giorni sto studiando tantissime cose e scopro mondi smisurati, che mi domando per quale assurdo motivo non mi siano mai stati svelati nei tre anni di permanenza statica genovese. Forse il mio difetto è che PENSO TROPPO e non riesco mai a smettere. (E mi piace pensare che sia così.)

  • estenuante

    La giornata di oggi, intendo. ll momento terapeutico, dicevamo. Penso che al momento nessuno conosca l’esistenza di questo blog. Prima o poi forse ne invierò apposita comunicazione. Ierisera dopo la pizza sono andato dritto a letto, non prima di aver appuntato un paio di pensieri profondi. Oggi fino alle 16.30 sono rimasto in compagnia del prof. Parenti e dei miei compagni di corso. Dalle 16.30 in poi invece con il prof. Zanini, si è iniziata la registrazione del nuovo sito web per Gortyna Quartiere Bizantino, su piattaforma Mediawiki. Un bell’esperimento, devo dire.

    Prima o poi dovrò anche trovare il tempo/volontà di andare dal prof. Fronza per fargli vedere la mia tesi, e parlare di eventuali progetti per la tesi o chi sa cosa altro. Nel frattempo il mio futuro è piuttosto nebuloso, anche se non mi pare affatto privo di determinazione.