Definire la complessità: la circolazione della sigillata africana in Italia

Mi sono laureato all’Università di Siena il 21 aprile 2009 con una tesi in archeologia tardoantica dal titolo Definire la complessità. La “circolazione” della sigillata africana in Italia tra V e VII secolo.

La mia tesi affronta una tematica relativa al periodo tardoantico con una impostazione metodologica. L’obiettivo è quello di delineare — sulla sola base delle informazioni provenienti da contesti di scavo — un possibile modello di circolazione delle ceramiche fini da mensa importate dall’Africa nell’Italia centro-settentrionale.

Il mio relatore è Enrico Zanini, professore di Metodologia della Ricerca Archeologica e Archeologia tardoantica.

Tutti i riferimenti bibliografici che ho raccolto per la tesi sono accessibili come una collezione su Zotero, con una licenza Creative Commons Zero.

Definire la complessità

Quella che segue è una parte dell’introduzione della tesi.

Definire la complessità può apparire come uno scopo ambizioso e al tempo stesso, come per contrappasso, fatuo e privo di legami con le tematiche correnti della ricerca storica e archeologica sul mondo tardoantico.

“word cloud” del testo della tesi

La scelta di questo tema per una tesi di laurea in archeologia tardoantica è, più che la definizione di uno spazio operativo entro cui muoversi, il riconoscimento di fenomeni largamente inesplorati a cui fanno da contrappeso fonti materiali solo in parte sfruttate nel loro pieno potenziale informativo.

La complessità è pertanto un paradigma di indagine più che un oggetto conoscitivo. Lo scopo di questa ricerca non è solo quello di avere un panorama aggiornato delle presenze (e assenze) della principale classe ceramica fine di importazione della tarda antichità. Piuttosto, tramite il panorama aggiornato e in qualche modo più dettagliato di quelli finora editi, l’idea è quella di cercare di individuare possibili punti critici nell’attuale stato dell’arte dell’archeologia, che riguardano l’utilizzo della ceramica come mezzo di datazione, lo studio della sua diffusione come indicatore genericamente definito “economico” e in una più ampia prospettiva l’utilizzo delle fonti archeologiche per la comprensione della società tardoantica e altomedievale italiana.

I territori controllati dall’Impero bizantino intorno all’anno 585 d.C.

La prima parte della tesi cerca di enucleare alcuni elementi che caratterizzano l’Italia sotto il profilo socio-economico, non come descriptio fine a se stessa, ma in quanto indispensabile substrato allo studio di fenomeni che informano la nostra conoscenza
dell’Italia medesima. La ceramica viene fabbricata e trasportata su navi, sbarcata in porti e stoccata in magazzini. Viene trasportata verso i luoghi in cui verrà venduta per vie di terra o d’acqua dolce. Dopo che è stata venduta, viene utilizzata da persone. Queste persone tuttavia, come quasi tutti gli uomini, non dedicano molta attenzione ai piatti in cui mangiano, e si interessano più probabilmente al loro contenuto. Quando i piatti si rompono possono essere gettati via, ma anche riparati, e solo dopo che sono stati gettati via, sempre che non vengano utilizzati per la realizzazione di cocciopesto o per altri impieghi “distruttivi”, entra in azione l’archeologo. Questa favoletta può fare sorridere o meno, ma la storia che riassume è verosimile, e illustra per sommi capi la complessità dei processi sociali ed economici necessari per spiegare i ritrovamenti di manufatti prodotti a così grandi distanze. Ognuno di questi passaggi ha in sé tutti gli elementi per una variabilità qualitativa e quantitiva sufficiente da sola a definire società completamente differenti. Da un lato, è la conoscenza che noi abbiamo di questi fenomeni generali — la produzione agricola, i traffici marittimi, l’esistenza di infrastrutture stradali e portuali — a fare luce sulle cause e sui modi dei processi di distribuzione delle merci, di cui la ceramica costituisce un testimone unico (e anche un po’ strano, essendo l’unico a conservarsi sistematicamente). Dall’altro, è la ceramica stessa, proprio per la sua unicità e straordinaria ricchezza di forme, produzioni e utilizzi, a fornirci elementi chiave per l’interpretazione e la lettura del mondo tardoantico. Si tratta di un circolo conoscitivo potenzialmente virtuoso, che conosce da circa 40 anni una certa fortuna a livello accademico e ciononostante non smette di produrre nuovi quesiti e nuove risposte a vecchie domande.

La seconda parte è intesa come una sintesi critica e abbastanza stringata della storia degli studi sulla sigillata africana, in una ottica necessariamente metodologica che quindi vede affiancata l’evoluzione della ricerca e lo stato dell’arte, anche quando questo si presenta in maniera problematica.

È questo certamente il caso dei metodi di quantificazione, a cui è dedicato un intero capitolo che non offre risposte definitive ma tenta di valutare in una ottica non solo teorica i possibili approcci, non sempre riconciliabili, alla trasformazione degli oggetti in numeri.

Poco esplorato è parso l’approccio antropologico allo studio della ceramica tardoantica, cui è dedicato un capitolo di “domande senza risposta o quasi” che potrebbero meritare maggiore approfondimento in futuro.

Distribuzione cronologica della presenza di sigillata africana (African Red Slip Ware) in Italia settentrionale

La terza parte espone la raccolta delle informazioni, con un dettaglio sugli aspetti tecnici dell’elaborazione e un primo sguardo al campione dei siti analizzati, che chiarisce anche i limiti oggettivi di questa ricerca.

I limiti geografici, necessariamente arbitrari, sono stati individuati  nelle odierne regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia—Romagna, Marche e Toscana.

Si tratta indubbiamente di un territorio eterogeneo, che non corrisponde ad alcuna ripartizione territoriale antica, comprendendo sia parti dell’Italia Annonaria sia parti della Suburbicaria, regioni diverse dal punto di vista amministrativo tardoromano e territori conquistati in tempi e modi diversi dall’Impero bizantino e dai Longobardi. La varietà geografica non è d’altro canto minore, poiché sono incluse ampie zone costiere ma anche territori montuosi interni, sia appenninici sia alpini. Si è ritenuto in definitiva che, nonostante la definizione arbitraria e di comodo di questa area, l’eterogeneità rappresentasse al suo interno più una ricchezza per il processo conoscitivo che non un limite, pur tenendo conto delle disomogeneità negli approcci regionali allo studio del territorio che caratterizzano i centri di ricerca universitaria così come le sovrintendenze, attori odierni dell’archeologia tardoantica.

Infine l’ultima parte comprende lo studio dei dati raccolti, diviso in alcune sezioni tematiche e fornito di carte geografiche, grafici e tabelle che illustrano i modelli interpretativi discussi nel testo.

Carta geografica dei siti con sigillata africana

Corredano la tesi sotto forma di appendice un elenco di tutti i siti esaminati e una tavola delle cronologie di tutti i tipi di sigillata africana.

Ma perché proprio la sigillata africana?