The Iron Heel è un romanzo di Jack London pubblicato nel 1908. Visto che Jack London è morto nel 1916, The Iron Heel, così come tutti gli altri suoi romanzi, è nel pubblico dominio. Ultimamente ho deciso di dedicare una parte delle mie letture ad opere di pubblico dominio: in effetti, moltissimi classici sono in questa condizione. Mi ero ripromesso di leggere questo romanzo qualche mese fa, dopo aver letto dei brevi racconti distopici di poco successivi a questo.
Ho letto il libro in digitale sul mio netbook. Non comodissimo, ma in fin dei conti la lettura scorre agevolmente.
Ovviamente in Italia di Jack London sono noti soprattutto i romanzi “avventurosi” ambientati nel Klondike, che facevano parte della letteratura d’infanzia standard ancora una ventina di anni fa (oggi, non lo so). Questo è un London molto diverso, per certi versi precursore di opere molto famose come 1984 e apertamente socialista. Ci sono elementi tradizionali come il rinvenimento di un manoscritto secoli dopo la sua stesura, anzi in questo caso è il manoscritto a costituire il corpo principale del romanzo, interrotto dalle note a volte lunghissime del narratore, che vive in un 27esimo secolo in cui il socialismo ha realizzato i suoi programmi, dopo quattro secoli di oppressione da parte dell’oligarchia capitalista, del tallone di ferro.
È davvero notevole il fatto che London scriva nella prima persona di Avis Everhard, cioè di una donna. Forse questo personaggio femminile non è riuscitissimo, nel senso che ha un percorso lineare che la porta in brevissimo tempo da essere una “figlia di papà” di inizio ‘900 a rappresentare il fulcro di una organizzazione internazionale socialista sotto copertura. Ma in fondo non è quello l’obiettivo: i personaggi di The Iron Heel sono quasi allegorie delle rispettive classi sociali che rappresentano, di traiettorie possibili e impossibili negli Stati Uniti d’America di cento anni fa.
La popolazione nera è ancora “gente dell’abisso”, se si esclude la fugace apparizione di Jackson nei primi capitoli del libro. La rivoluzione socialista richiede il sacrificio di migliaia e migliaia di persone: la tensione è sempre oltre il presente. Nel romanzo solo la prospettiva “aliena” di Meredith, uomo del futuro socialista, rende accettabile l’ingenuità degli uomini e delle donne del presente e la loro fede incrollabile.
Un discorso a parte merita la fine del romanzo. Anche qui (per quanto ne posso sapere io, almeno) London rompe gli schemi: da un lato sceglie uno stratagemma infantile per non allungare eccessivamente la storia, ed evitare di doversi dilungare dopo che gli eventi sono precipitati, perché tutto quello che succederà dopo la fine del manoscritto è già scritto, e all’oppressione succederà la rivoluzione. Dall’altro, ci vuole un bel coraggio (letterario) a lasciare una storia praticamente a metà.
The Iron Heel si scarica dal progetto Gutenberg, ed è anche nella collezione di audiolib(e)ri di LibriVox.
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