Qualche settimana fa, grazie all’interesse di Giovanna Rosso del Brenna per i gasometri di Ventimiglia, ho scritto un articolo per Repubblica che è stato pubblicato all’interno di una serie dedicata all’archeologia industriale della Liguria (la serie aveva tratto spunto dalle vicende legate al gasometro di Campi, vicino al viadotto autostradale sul Polcevera).
L’articolo è scritto a quattro mani con Gianpiero Martino, che è stato funzionario archeologo a Ventimiglia per diversi decenni.
Di seguito il testo integrale.
Tra i monumenti di archeologia industriale della Liguria, i gasometri di Ventimiglia sono forse quelli che oggi si trovano nel contesto più inaspettato. L’area archeologica di Nervia infatti è una delle più estese realtà di epoca romana della nostra regione, una delle floride città costiere dell’antichità con monumenti di eccezionale interesse, tra cui spicca il teatro che da pochi anni è tornato a ospitare spettacoli.
L’Officina del Gas è sorta nei primi anni del XX secolo in una zona del territorio di Ventimiglia che dalla fine dell’Ottocento fino al secondo dopoguerra è stata interessata da una serie di insediamenti industriali, infrastrutture ferroviarie e servizi urbani che ne hanno profondamente segnato la morfologia e lo sviluppo urbanistico ed edilizio.
Nel 1908 la Albintimilium romana era molto meno riconoscibile di quanto sia oggi, ma lo scavo per la costruzione dei due gasometri da parte della Tuscan Gas Company rivelò la presenza di una strada antica, registrata da Girolamo Rossi insieme ad altri ritrovamenti che però non ostacolarono in alcun modo lo sviluppo del complesso produttivo. Già allora, il profondo interro degli strati di epoca romana, che a Ventimiglia in alcuni punti raggiunge i cinque metri, faceva apparire le distinte aree romane scollegate tra loro, come monumenti isolati ed indipendenti. Fu Nino Lamboglia a iniziare i primi veri scavi stratigrafici, estesi per 1000 metri quadrati nell’angolo nord occidentale dell’Officina del gas, fino a rendere palese la sovrapposizione dell’impianto industriale ai resti delle insulae. I quartieri di abitazione civile sono articolati all’uso romano in isolati delle dimensioni di 10 per 25 m, separati da cardini e decumani con il loro ordinamento regolare. Percorrendo il cavalcavia stradale dell’Aurelia, i passanti vedono ben cinque insulae, due cardini e un decumano, con i due gasometri in secondo piano.
Paradossalmente, è stato proprio lo sfruttamento industriale dell’area di Nervia che ha consentito al Ministero dei Beni Culturali di acquisire e recuperare gli spazi che costituivano il sedime dell’antica Albintimilium, grazie al contemporaneo trasferimento delle attività dell’Italgas erede della Tuscan Gas Company, delle Ferrovie dello Stato e dell’Enel, avvenuto alla fine del XX secolo. Da allora su gran parte delle aree pubbliche, vincolate per interesse archeologico in momenti diversi già a partire dal secondo dopoguerra, ha preso il via una lunga attività di recupero e progettazione mirata a restituire l’area alla fruizione pubblica, con la costante convinzione di mantenere ed esaltare la duplice natura di questo spazio, due volte archeologico, al tempo stesso romano e industriale. Questo percorso non è ancora concluso, e ha dovuto subire varie battute di arresto compreso l’avvio di una lunga operazione di bonifica dagli idrocarburi che hanno inquinato il terreno, che attualmente ha la poco invidiabile particolarità di essere contemporaneamente un bene archeologico e un rifiuto speciale.
Oggi le strutture metalliche dei gasometri sono apprezzate soprattutto dai gabbiani e la loro dimensione archeologica, come tracce materiali di un tempo ormai passato, è evidente: il quartiere di Nervia è prevalentemente residenziale e si sta riappropriando degli spazi ex ferroviari ed ex industriali. La pista ciclabile prende il posto del parco ferroviario, valorizzando al tempo stesso i resti più significativi. L’officina del gas è quindi anche il cuore di questo tessuto di archeologia industriale, ancora in attesa di una sistemazione definitiva.
Le strutture metalliche in elevato dei gasometri, l’elemento più iconico del complesso, non si limitano a un semplice scheletro ma conservano gli elementi originari legati al funzionamento nei loro movimenti di espansione e di abbassamento della calotta, come le “selle” (carrucole) e le cremagliere nelle quali scorrevano sotto la spinta della pressione del gas. Inoltre i gasometri non sono corpi isolati: sia gli edifici ora riconvertiti a servizio dell’area archeologica, sia i forni e le strutture accessorie per la produzione del gas utilizzate nell’Officina sono state opportunamente trattate e bonificate per conservarle. Tra gli edifici, un capannone mostra ancora il pregevole disegno delle capriate metalliche Polonceau, un caratteristico esempio di struttura di copertura industriale di inizio ‘900.
Il primo progetto di musealizzazione sviluppato nel 1999 prevedeva una ibridazione ancora più stretta tra i gasometri e la città romana, con un percorso di attraversamento su due livelli che avrebbe fatto delle cisterne interrate due suggestivi ambienti espositivi dei reperti archeologici antichi, forse non a caso negli stessi anni in cui prendeva corpo la trasformazione in sede museale della Centrale Montemartini a Roma. La possibilità di riprendere l’intervento di recupero dell’intera area è arrivata lo scorso anno con un primo finanziamento del MiBACT finalizzato a “rimettere in moto” la progettazione e una fruizione almeno parziale.
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