Venerdì 28 ottobre 2022 il gruppo soci Genova e Liguria ha presentato ènostra al Circolo Barabini di Trasta (Genova).
Prima della presentazione c’è stato un momento conviviale con la “trastapasta” di gnocchi al pesto! Il Circolo Barabini è un luogo bellissimo, un laboratorio di cose buone. Io non lo conoscevo prima della settimana scorsa, mi è piaciuto davvero molto, luogo di prassi antifascista e di lotte fatte dal basso e con il sorriso.
Trastapasta con gnocchi al pesto
Alla presentazione erano presenti circa 30 persone, molti soci del circolo ma anche qualcuna da fuori. Abbiamo anche trasmesso in diretta streaming tramite Jitsi, con 3-4 persone collegate. Abbiamo parlato di crisi climatica, dell’importanza delle fonti rinnovabili per la transizione energetica e di come ènostra nasce per seguire questo obiettivo in modo etico e sostenibile.
Un momento della presentazione, Sara Gollessi parla di ènostra
Nel dettaglio poi abbiamo parlato di cosa fa ènostra, dalla fornitura di energia, alla realizzazione di impianti collettivi, alle comunità energetiche e alla formazione e informazione. La seconda parte della presentazione è stata un po’ più interattiva, abbiamo spiegato come funziona la fornitura dell’energia elettrica, come si compone il costo finale della bolletta, l’andamento del PUN e quali sono le tariffe di ènostra. Abbiamo parlato dei servizi che offre ènostra per la realizzazione di impianti fotovoltaici e termici, e dell’attuale situazione di sovraccarico. Infine abbiamo parlato degli impianti collettivi e della tariffa prosumer.
Le domande non sono mancate! C’era chi ha un impianto FV da molti anni e riportava la propria esperienza di ritorno/non ritorno economico, chi voleva informazioni sul prestito sociale di ènostra, chi voleva avere indicazioni sul portale dei consumi di Arera, chi condivideva la difficoltà di entrare in contatto con GSE per risolvere problemi relativi al proprio impianto FV, chi voleva capire se era possibile passare a ènostra pur avendo realizzato il proprio impianto FV con “ENEL” diversi anni fa, chi voleva capire meglio il meccanismo di autoconsumo vs scambio sul posto e il rapporto tra curva dei consumi e della produzione nell’arco delle 24 ore.
Ci hanno poi riportato che è piaciuto l’incontro perché abbiamo spiegato tante cose senza fare i “venditori”.
Per noi è stata la prima volta di una presentazione collettiva in presenza, quindi siamo abbastanza soddisfatti. Speriamo di ripetere nel prossimo futuro.
Ti interessa organizzare una presentazione come questa nel tuo circolo, associazione, quartiere? Contattaci!
Il gruppo soci di ènostra Genova e Liguria: Massimo, Mattia, Maurizio, Sara, Stefano
Lo scorso anno avevamo visto, in una panoramica sui musei di Genova, come l’Acquario, l’attrazione cittadina più conosciuta, più pubblicizzata e più visitata, abbia perso visitatori in modo costante negli ultimi anni, arrivando negli ultimi quattro anni per ben tre volte (2012, 2014, 2015) sotto la soglia psicologica di un milione di visitatori.
I dati pubblicati di recente nel Cruscotto dell’economia genovese, pur approssimativi, confermano la continua stagnazione: nel 2015 l’Acquario ha totalizzato 927000 presenze, con un calo percentuale del 6.1%. E pensare che lo scorso anno avevo azzardato una previsione ottimistica:
Sicuramente sarà la struttura che beneficerà maggiormente dell’afflusso di Expo, e i filmati pubblicitari sono già diffusi nelle stazioni ferroviarie e in altri spazi affollati.
Invece niente, anzi: durante i mesi di Expo i visitatori sono stati costantemente inferiori rispetto ai periodi estivi degli anni precedenti. Ma come è possibile? La risposta è abbastanza elementare: nel 2015 sono calati anche i visitatori dei musei, mentre sono aumentati leggermente gli arrivi turistici. Non è l’acquario e non sono i musei a tenere a galla la giovane vocazione turistica di Genova.
I numeri crudi sull’affluenza all’Acquario di Genova sono schietti. Tutti i grafici presentati sotto si basano sui dati pubblicati dal Comune di Genova.
I visitatori dell’Acquario di Genova dal 2010 al 2015 presentati dal Cruscotto sull’economia genovese
Se li osserviamo su un arco temporale più ampio di quello presentato nel cruscotto, il calo costante appare ancora più vistoso.
I visitatori dell’Acquario di Genova dal 1994 al 2015
Lo scorporo mensile dei dati è ancora più interessante perché consente di esaminare i dati destagionalizzati.
Trend destagionalizzato del numero di visitatori all’Acquario di Genova
Pur altalenante, la curva del trend è inequivocabilmente rivolta verso il basso. Non capisco quindi su quali basi Giuseppe Costa possa parlare di
un periodo decisamente più roseo per l’Acquario con «numeri di molti vicini al periodo pre-crisi».
(tralasciamo le valutazioni di pura fantasia che compaiono nelle interviste realizzate nella stessa occasione sui “milioni di visitatori” attratti ogni anno a Genova dall’Acquario)
Peraltro, a gennaio lo stesso Costa aveva ammesso, commentando gli stessi dati, che
L’anno appena trascorso, che noi calcoliamo dall’1 novembre 2014 al 31 ottobre 2015, è stato il peggiore della storia
Nel periodo pre-crisi (2008, si suppone), l’Acquario aveva un milione e trecentomila visitatori all’anno, mentre nel 2015 è fermo a 927mila.
Dato il ritardo con cui vengono pubblicati i dati, non siamo in grado di sapere se la primavera del 2016 sia stata davvero più rosea, e ci piacerebbe poter fare queste valutazioni in tempi più rapidi, perché sono importanti per capire cosa sta succedendo prima che sia già l’anno prossimo. Per esempio, se a metà di Expo avessimo già saputo che l’Acquario non stava riscuotendo particolare successo di pubblico, si sarebbe potuta cambiare strategia di comunicazione. Per ora, ci dobbiamo accontentare dell’ottimismo con con si prevedono un milione e centomila visitatori.
Perché Genova si chiama così? Dipende dall’epoca in cui fate questa domanda.
Oggi il calendario segna 2015 quindi lasciamo perdere la (interessante ma ben nota) paretimologia medievale di Ianua e quella molto meno interessante che rimanda al termine greco xenos. Parliamo dell’etimologia “vera” di Genua, attestata per la prima volta in un cippo miliario dell’anno 148 a.C. (CIL I¹ 540 = CIL V 8045).
Il cippo miliario di Spurio Postumio Albino (sanpierdarena.net)
Il cippo miliario di Spurio Postumio Albino (Epigraphik-Datenbank Clauss / Slaby)
L’ipotesi principale è che genua sia un termine indoeuropeo, che significherebbe “bocca” (*genaua), riferito alla foce del fiume ‒ il Bisagno. La tesi è stata formalizzata da Xavier Delamarre che nota nel suo Noms de lieux celtiques de l’Europe ancienne. Dictionnaire (p. 13, nota 5; traduzione mia):
Per limitarsi alla toponomastica, è notevole che l’antico nome di Genova, Genua, porto ligure per antonomasia, abbia una costruzione precisamente simile a quello della gallica Ginevra, Genava, entrambi esito di *Genoṷā, derivazione in -ā di un tema *genu- che indica la bocca in celtico (irlandese gin bocca, gallese gên ‘mascella’), e quindi per estensione ‘l’imboccatura’. Ora, se la derivazione semantica bocca → imboccatura, porto è banale e universale (latino ōs → ōstium, tedesco Mund → Mündung, finlandese suu ‘bocca’ → (joen)suu, etc), è in celtico e solo in celtico che il tema indoeuropeo *ǵénu- / *ǵonu- che inizialmente indica la mascella o le guance (latino genae, gotico kinnus, sanscrito hanu-, etc.) è passato per metonimia a designare la bocca. Il nome «ligure» del porto di Genua è pertanto costruito su un tema la cui semantica è specificamente celtica.
Tra gli archeologi Delamarre ha trovato un primo forte sostegno da parte di Filippo Maria Gambari. La validità di questa ipotesi è slegata dalla attribuzione della lingua ligure preromana alla famiglia indoeuropea o al substrato pre-indoeuropeo, proprio perché il nome è attestato solo in epoca così tarda, e quindi potrebbe essere una acquisizione linguistica dalla lingua celtica in una situazione ‒ attestata anche archeologicamente ‒ di commistione celto-ligure. Le scoperte archeologiche dell’ultimo decennio nella zona della foce del Bisagno rafforzano questa ipotesi e indeboliscono molto la precedente ipotesi, sempre di ambito indoeuropeo, che indicava una possibile radice *genu– “ginocchio”, riferita ad un altra caratteristica geografica di Genova: l’insenatura del porto.
È interessante come in entrambe le ipotesi sia stata data per acquisita la coincidenza dell’etimologia di Genova con quella di Ginevra (registrata per la prima volta come Genaua nel De Bello Gallico), come indicato ad esempio sul Wikeriadur Brezhoneg (wikizionario bretone). Il bretone (con alcune lingue affini) e il gallese sono di fatto le uniche lingue che permettono di indicare questa parola come celtica, creando quindi un possibile legame etimologico. In effetti nel Catholicon breton (1464), la più antica testimonianza scritta di questo termine è indicata come guenou (mentre nel bretone contemporaneo il lemma è genoù), quindi il termine antico è più difforme dalla forma “celtica” rispetto a quello contemporaneo. In gallesegenau indica “mouth, lips; estuary, entrance to a valley, pass, mouth (of sack, cave, bottle, &c.), hole; fig. saying, speech.” (Geiriadur Prifysgol Cymru). Sia il gallese sia il bretone sono considerate lingue celtiche “insulari”, cioè parzialmente distinte dalle lingue celtiche parlate sul continente (a maggior ragione in Liguria) e ora estinte.
L’archeologa Piera Melli, accettando questa ipotesi, sostiene nel suo recente volume Genova dalle origini all’anno Mille che potrebbe anche essere avvenuta una “etruschizzazione” del nome, in cui sarebbe stato sostanzialmente preso a modello il nome di kainua (Marzabotto) e di altri nomi di città etrusche come mantua e padua. Tuttavia questa forma etrusca del nome di Genova non è attestata, e rimane una suggestione legata alla relativa abbondanza di iscrizioni in alfabeto etrusco rinvenute a Genova.
Genova nacque alla foce del Bisagno, ma era solo l’inizio.
Il 7 maggio 2015 la tournée di Archeostorie ha fatto tappa a Genova. Grazie a Fabio Negrino, ci siamo trovati in una gremita aula universitaria in via Balbi 2. Per via dell’incendio che era scoppiato a Fiumicino nella notte, Cinzia Dal Maso è rimasta bloccata a Roma, e a rappresentare Archeostorie c’erano Francesco “Cioschi” Ripanti, Marina Lo Blundo e il sottoscritto.
Anche se è passato qualche giorno ho ancora addosso l’entusiasmo per la bella giornata e serata di giovedì scorso. Entusiasmo anzitutto per tutte le persone che sono venute ad ascoltare, e soprattutto a dire la loro.
Silvia Pallecchi ci ha regalato una emozionata orazione, ci ha spiegato meglio di come avremmo saputo fare noi che Archeostorie parla di due mondi fatti di mestieri codificati e mestieri non codificati, che devono parlare, che i mestieri non (ancora) codificati sono difficili ma necessari carburanti per il rinnovamento. Eleonora Torre ci ha parlato senza filtro di cos’è l’archeologia fuori dagli uffici, dalle aule, con i piedi nella terra e la testa salda sul collo ‒ Eleonora ci ha anche strappato un applauso spontaneo e perentorio quando ha ricordato ai più giovani l’importanza di avere dei maestri, come è stato per tanti di noi Tiziano Mannoni. Marta Conventi ci ha raccontato che l’idea di una archeologia che cerca il suo pubblico ha già messo radici solide anche in Soprintendenza. Vincenzo Tiné non ha fatto sconti nel descrivere tutte le difficoltà che, anche con le migliori intenzioni e capacità, gli archeologi dovranno affrontare nell’immediato futuro se vorranno trasformare la parola in azione, proprio a partire dalle Soprindentenze amputate della valorizzazione. Andrea De Pascale, che tante delle storie del libro le ha già messe in pratica al Museo Archeologico del Finale, ci ha confortato, ci ha detto che sì, questa è la strada giusta e i musei devono essere luoghi in cui sono prima di tutto le persone a parlare con il pubblico. Fabio Negrino ci ha guidato lungo questa lunga chiacchierata, raccontando al pubblico come questi 34 autori si siano trovati dietro la stessa copertina (per chi se lo fosse perso, è stato il Day of Archaeology 2014 a far scoccare la scintilla), e anche di come aver accettato a scatola chiusa di organizzare questo incontro si sia rivelato un buon investimento. Tanti altri sono intervenuti, chi per raccontare la sua (archeo)storia, chi per ricordarci di non perdere di vista la ricerca archeologica che è “l’arrosto” della situazione, chi per fare domande o semplicemente condividere un pensiero in libertà. Archeostorie ne è uscito non più come un libro, ma un invito a discutere, a confrontarsi e costruire qualcosa di nuovo. Un manuale di idee, di sopravvivenza. Un manuale per il futuro, su cui forse nei prossimi anni qualcuno potrà studiare, non per trovare regole e prescrizioni, ma idee… asce di guerra come mi piace dire.
A distanza di qualche giorno, credo che non potessimo sperare di meglio, tanto più che abbiamo venduto anche tantissime copie del libro. A occhio credo ci fossero 80 persone, dagli studenti liceali ai padri fondatori dell’archeologia medievale, dagli archeologi del paleolitico a quelli dell’età contemporanea ‒ e questo secondo aspetto non è da poco visto che gli autori del libro, per quanto numerosi, non abbracciano certamente l’ampiezza di studi, tradizioni e passioni che c’è nell’archeologia italiana. Per chi ha la memoria lunga, questa presentazione è stata un ritorno su uno dei tanti possibili luoghi del delitto per la filogenesi di Archeostorie: a Genova, dal 2005, al grupporicerche, prima Matteo Sicios e qualche anno dopo Marina Lo Blundo iniziavano a parlare di “Comunicare l’archeologia”, di sdoganare l’archeologo-che-comunica come una figura legittima. Anche Matteo era lì nell’aula.
La registrazione video che ho fatto è finita su Youtube: anche se l’audio non è particolarmente buono mi sembrava importante che ci fosse una memoria di quello che ci siamo detti. Sono quasi tre ore ininterrotte di dialogo.
Mentre tornavamo in macchina a Torriglia con Francesco ho cercato di spiegargli quanto fosse particolare avere così tanti archeologi liguri, di tutte le età e formazioni, insieme per una volta non solo ad ascoltare ma a dialogare. Francesco mi ha detto che aveva capito che c’era stato qualcosa di speciale anche per noi genovesi nel ritrovarsi a parlare del futuro dell’archeologia. Sarà che nelle tappe precedenti non si erano visti gli studenti intervenire e dire la loro, sarà che alcune delle storie del libro hanno toccato delle corde importanti per tanti di noi. Per me era una giornata speciale, ho visto sedute nella stessa stanza tante persone con cui ho condiviso parti della mia vita e che mi hanno insegnato qualcosa, come archeologo e come persona, prima a Genova, dentro l’università e soprattutto fuori, poi a Siena e infine di nuovo a Genova. Alcuni di noi hanno proseguito l’incontro a cena, di nuovo senza distinzione di età né specialismi ‒ insomma, tira una bellissima aria a Genova e spero che non vada persa come a volte è successo in passato. Si è parlato molto di passione, e spero che il 7 maggio per qualcuno si sia (ri)accesa un po’ di passione per l’archeologia fatta non solo di esami, crediti formativi, riunioni di dipartimento, pubblicazioni specialistiche, atti amministrativi e bilanci striminziti.
Nel frattempo Archeostorie si è meritato uno spazio su Repubblica (e non so cosa dire sui quotidiani genovesi a cui ho mandato il comunicato stampa sulla presentazione, ma lasciamo perdere), e a breve inizierà a circolare la ristampa. Avanti così, che l’inse.
In attesa che vengano pubblicati i dati aggiornati al 2014, diamo uno sguardo ai dati numerici sui visitatori nei musei civici di Genova negli ultimi anni. La situazione è stabile, ma sembra esserci una stagnazione e l’Acquario non gira. Purtroppo, mancano i dati su Palazzo Ducale.
Visitatori nei musei civici e Acquario di Genova 1996-2013
Nel 2004 Genova è stata Capitale Europea della Cultura. Ce lo ricordiamo bene. I cantieri che sembravano infiniti, le facciate riportate a lustro, le inaugurazioni, le mostre. Qualcosa è rimasto, Genova adesso è una meta turistica, sia per gli italiani sia per gli stranieri. La ricettività inizia a stare al pari con la domanda. Abbiamo un city brand. Ma i musei non sono solo turismo, sono prima di tutto dei cittadini, delle scolaresche che si spostano rumorosamente in autobus, dei gruppi di mezza età, delle famiglie. Quante persone visitano i musei di Genova?
Dove sono i dati
Stuzzicato dagli open data rilasciati dalla Fondazione Torino Musei, che peraltro non sono aggiornati da più di un anno, ho cercato quel che c’era in rete sui musei genovesi, quelli civici in particolare (ci sono anche Palazzo Spinola e Palazzo Reale, statali, i cui dati di affluenza sono disponibili). Forse sembrerà ovvio, ma ho trovato davvero poco, veri e propri dati sparsi.
I dati dal 2004 al 2013 sono compresi nell’Annuario statistico del Comune di Genova (un file XLS dentro uno ZIP). I dati sui musei sono nel file 06 ISTRUZIONE E CULTURA/6.2 Cultura/TAV 07.XLS. Quelli sull’Acquario sono nel file 12 TURISMO/TAV13.XLS.
Nel Notiziario statistico n° 3 del 2014 (file PDF) troviamo i dati sul turismo, che includono i visitatori mensili dell’Acquario nel 2013 e fino a settembre 2014, ma non quelli dei musei.
Il dettaglio maggiore di cui disponiamo è quello mensile per l’Acquario negli ultimi 21 mesi, mentre in tutti gli altri casi siamo fermi al numero totale di visitatori annuali per singolo museo. È difficile fare qualunque valutazione in rapporto agli afflussi turistici, se non a livello molto generale, quindi in questa puntata non ne parlerò proprio.
I dati sparsi vanno ripuliti e ricomposti per essere elaborati. È un lavoro lento e noioso, in cui sicuramente si possono fare errori. Quello che ho ripulito per ora è in questo repository su GitHub, ovviamente in formato CSV.
Cosa dicono i dati
Una premessa doverosa: i numeri sono, per l’appunto, numeri. Un museo poco visitato non è più brutto degli altri, né gestito da persone meno competenti, impegnate, capaci.
I musei di Genova ospitano collezioni uniche, e soprattutto organizzano una quantità incredibile di eventi ‒ ogni settimana sono decine e spaziano da incontri serali a visite guidate, presentazioni, concerti, laboratori per grandi e piccoli. Nell’ultima newsletter che ho ricevuto posso contare 16 mostre in corso.
Ricordatevene leggendo il seguito.
I musei
Il 2004 ha segnato in positivo un punto di non ritorno per la maggior parte dei musei civici genovesi. Il balzo è evidente dal grafico.
Visitatori nei Musei civici di Genova 1996-2013
Il dettaglio dei singoli musei è un po’ meno brillante, perché si vedono tramontare realtà come il Museo di di storia e cultura contadina e il Museo di arte contemporanea. Il Galata Museo del mare è in affanno (non sorprendente considerati i numeri dell’Acquario?), anche se rimane il museo più visitato.
Molti musei hanno andamenti altalenanti, magari legati a mostre (↑) o chiusure (↓) temporanee, su cui naturalmente sarebbe importante avere dati.
Visitatori nei musei di Genova: il dettaglio dei singoli musei (1996-2013)
I Numeri solidi
I numeri più solidi a mio parere sono quelli dei musei di Storia naturale e di Sant’Agostino, gli unici ad avere una quantità considerevole di visitatori associata ad una crescita costante negli ultimi anni. Anche il Museo di Arte Orientale ha avuto un buon andamento nell’ultimo periodo. Sono queste le realtà che meriterebbero di essere analizzate più in dettaglio per individuare fattori positivi su cui costruire, volendo, una strategia più ampia.
L’Acquario
L’Acquario di Genova non è un museo, almeno non nella tradizionale accezione italiana. Il numero di visitatori dell’Acquario è in calo costante. Dopo il 2004 solo nel 2007 e nel 2013 si è registrato un lieve aumento, ma non ci sono segnali di inversione della tendenza ‒ alla stagnazione più che al ribasso, perché comunque si tratta di una realtà molto forte che non può scomparire da un momento all’altro. Rimane il dubbio sulla sostenibilità di questa impresa, che ha costi altissimi per i visitatori (24 €) ed evidentemente non riesce a trainare da sola il resto della città, pur rimanendo di gran lunga la struttura più visitata con circa un milione di visitatori ogni anno. Sicuramente sarà la struttura che beneficerà maggiormente dell’afflusso di Expo, e i filmati pubblicitari sono già diffusi nelle stazioni ferroviarie e in altri spazi affollati. Come la Capitale Europea della Cultura, anche Expo può dare uno slancio di medio periodo, ma solo se si saprà lavorare con le lenti multifocali.
Visitatori Acquario di Genova 1994-2013
Cosa manca
I grandi assenti di questa panoramica sono naturalmente i dati su Palazzo Ducale, che non è un museo vero e proprio ma è il principale spazio culturale pubblico della città. Dobbiamo accontentarci di notizie (500mila visitatori nel 2012, chiusura record con 125mila visitatori per Frida Kahlo) ma da una fondazione pubblica sinceramente vogliamo molto di più. Ci vogliono gli open data.
~
Questo post è il primo con l’hashtag #d969humanities. Stay tuned.
La foto di copertina è “Genova, more than this?”. L’ho scattata io qualche mese fa.
Da qualche settimana ho iniziato a collezionare lettere A. Le prendo dalle targhe delle strade di Genova e sto cercando di farmi guidare da queste “prime della classe” per prendere confidenza con la storia tipografica delle targhe, soprattutto di quelle più antiche ‒ approssimativamente datate prima del 1945. C’è qualcosa di affascinante nell’idea che queste targhe siano un unico smisurato testo steso per tutta la città, un palinsesto scritto in momenti diversi ma fatto per essere letto oggi.
Da questa serie si notano alcuni elementi interessanti, soprattutto il passaggio dalla A con testa piatta a quella acuta. Le datazioni che ho abbozzato per ora sono poco più che ipotetiche, così come le riproduzioni dei caratteri che ho raccolto (da vero neofita della tipografia). È certamente possibile che ci siano ampie sovrapposizioni di tipi nel tempo, anche se chiaramente ci sono stati dei momenti di impulso ordinatore e omologatore. Il mio tipo preferito è di gran lunga il secondo nell’immagine sotto, il più diffuso nel centro storico.
La forma della lettera A
Non so se esistano dei lavori dedicati a questo argomento, finora non ne ho trovati. Sto procedendo con metodo stratigrafico (poteva essere altrimenti?) e questo è naturalmente frustrante perché non permette datazioni precise se non avendo a disposizione una discreta quantità di dati, che non ho ancora. Mi sono sembrate molto interessanti quelle strade in cui in punti diversi si trovano targhe con tipi diversi (es. via Corsica e via San Vincenzo, entrambe interessate dalla costruzione di via XX Settembre).
Se un tipo è usato su una targa dedicata a una persona morta
nell’anno X, il tipo va considerato in uso dopo quella data e non a
quella data esatta.
Se un tipo è usato su una targa di una strada costruita nell’anno X,
il tipo va considerato in uso dopo quella data.
Se un tipo non compare su targhe databili dopo l’anno X,
probabilmente è andato fuori uso intorno all’anno X.
Se un tipo compare su un edificio costruito nell’anno X, non possiamo trarne alcuna informazione, in mancanza di indicazioni più precise.
Tra gli eventi più significativi per l’urbanistica e la toponomastica di Genova sono certamente le due espansioni del 1873 e del 1926 ‒ sulla base di quelle è possibile ad esempio osservare i quartieri di Marassi e Staglieno (annessi nel 1873), Molassana (annesso nel 1926). Girare per le strade, fotografare, prendere appunti… tutte cose non veloci. Ad un certo punto farò anche due passi a Staglieno, ovviamente.
L’anno scorso l’Istituto LUCE ha pubblicato migliaia di video sul proprio canale YouTube. Nonostante la quantità strabiliante di materiale, le possibilità di ricerca e organizzazione del materiale sono a dir poco scarse, come avevo già notato in precedenza.
Quando nel 2011 ho visitato il Museo AMGA di Genova, il curatore mi ha mostrato, oltre alla vasta collezione di documenti e fotografie riguardanti la storia degli acquedotti di Genova e la costruzione della diga del Brugneto, anche alcuni filmati che il museo aveva recuperato anni prima proprio negli archivi LUCE. Oggi tramite Luca Corsato scopro che l’archivio LUCE è sbarcato anche su Europeana, la grande biblioteca digitale d’Europa, e riesco finalmente a trovare uno di questi spezzoni video che su YouTube mi erano finora sfuggiti.
È un filmato di 9 minuti e 49 secondi intitolato “Genova in cammino”, del 1956. Vi consiglio di guardarlo tutto. Fa riflettere molto sull’origine dei problemi attuali di degrado e conflitto sociale (la gara tra Comune e privati per la costruzione di abitazioni, la costruzione di quartieri periferici per lasciare intatta l’architettura del centro, gli alloggi popolari, la continua lotta contro la natura) e ci sono alcune parti veramente avveniristiche, specialmente quella in cui viene descritto il sistema dell’anagrafe che permette di avere i certificati rapidamente negli uffici periferici tramite telescrivente (un primato europeo di Genova stando al filmato). È una narrazione del grande risveglio di Genova, il cui nome “suscita nel cuore di tutti gli italiani un’immagine di forza e di potenza, di lavoro e di prosperità”…
Imprescindibile per questa città “intercontinentale” è un acquedotto in grado di fornire acqua a sufficienza per lo stile di vita di una città in piena crescita. Ed ecco che il filmato ci fornisce alcune scarne notizie sulla costruzione dell’acquedotto del Brugneto. Lo spezzone dura meno di un minuto (dal minuto 3:19 al minuto 4:13) ma contiene in sintesi tutta l’ideologia del progetto.
Genova in cammino – La costruzione della diga del Brugneto
Ecco la trascrizione del commento:
Ma c’è un problema che sta particolarmente a cuore dei genovesi: quello dell’acqua, che negli ultimi quarant’anni era sempre rimasto allo stadio delle discussioni. Il nuovissimo acquedotto permetterà domani di godere di una quantità di acqua potabile doppia dell’attuale. Il problema degli impianti del Brugneto, che stanno sorgendo in una remota valle sui contrafforti del monte Antola, era quello del finanziamento. L’amministrazione democratica è riuscita a superare le difficoltà, grazie ad un mutuo della Cassa Depositi e Prestiti per l’ingente somma di otto miliardi e ottocento milioni di lire. Ciò ha consentito l’inizio immediato dei lavori che porteranno entro il 1960 alla soluzione di questo problema essenziale per la vita della città.
Ora non voglio entrare nel lungo discorso del terzo valico e del TAV Torino-Lione, ma mi sembra chiara l’analogia. Ricordo solo che negli anni 1980 e 1990 un secondo invaso artificiale nella vicina valle del Cassingheno fu lungamente contestato e infine abbandonato: il rapporto tra città e territorio era già completamente cambiato e non era più possibile sgomberare una “remota valle” con i suoi abitanti per i bisogni della città senza che il territorio stesso venisse interpellato (anche se non è certo solo per questo che la diga sul Cassingheno non venne realizzata). Una delle cose che più mi aveva colpito nel consultare l’archivio fotografico al Museo AMGA era proprio la totale assenza dei rappresentanti delle comunità locali: figurano progettisti, il sindaco di Genova e forse qualche altra personalità foresta ma mai un sindaco di Propata, Fascia o Torriglia ‒ eppure la val Brugneto allora come oggi era divisa tra tre comuni (più Montebruno, agnus inferior).
Sono sicuro che esistano altri filmati e forse verranno pubblicati in seguito (o magari sono già su YouTube ma non sono riuscito a trovarli). Intanto questo mi sembra un documento importante per raccontare la storia dei Frinti, un paese sommerso.
Aggiornato a settembre 2019 grazie a Marta Mangiarotti che mi ha segnalato il link non funzionante al filmato. Ho trovato un link aggiornato funzionante.