Archeologia nel Mediterraneo e colonialismo: seconda puntata

Questo articolo è stato scritto nel 2012 ed è rimasto in bozze per 8 anni. Mi pare ancora degno di vedere la luce del sole e lo pubblico tale quale con qualche aggiornamento ai link.

Riprendendo il discorso iniziato qualche tempo fa su archeologia italiana e colonialismo, metto sul piatto altri appunti.

Il primo punto importante, che ho dato per scontato in precedenza, è che tutto questo ragionamento si applica a quel particolare sottoinsieme dell’archeologia rappresentato dalla ricerca universitaria o accademica in genere, l’unica che in modo sistematico si dedica alla ricerca sul campo all’estero.

Non penso che ci siano davvero parametri per giudicare se un ricercatore o un gruppo di ricerca siano colonialisti o meno. I problemi di cui ho parlato sono dei temi di riflessione, che conducono il discorso nell’ambito della questione colonialista e fanno diventare una gomena il filo che nessuno può negare ci leghi al colonialismo con la F maiuscola. Sul rapporto tra colonialismo e fascismo di ieri nell’Italia di oggi ci sono spunti in più di un punto di questa intervista a Wu Ming 2. Incluso un riferimento alla rivista Interventions: international journal of postcolonial studies, purtroppo costosissima.

Avere una pratica colonialista facendo archeologia a volte è semplicemente un fatto. Non essere colonialisti facendo archeologia nel Mediterraneo è difficile, secondo me. Avere una teoria colonialista è una cosa diversa.

Io penso che nel ventunesimo secolo la parola chiave sia strumentalità: ovvero intendere un luogo, con il suo patrimonio archeologico, semplicemente come uno strumento (indispensabile) per condurre la propria ricerca e per accrescere il proprio prestigio accademico. È evidente che questo concetto non è limitato alle ricerche svolte all’estero, e già questo mi sembra un elemento molto importante, perché apre la strada ad una riflessione sul “colonialismo dietro casa”, sugli archeologi che arrivano da fuori a imporre la loro agenda ad una comunità, a una società.

Va considerato il punto importante dei finanziamenti per la ricerca. In Italia una parte importante della ricerca all’estero è finanziata dal Ministero degli Esteri (il quadro è ben documentato sul sito web del Ministero). Di questo tema ho avuto modo di parlare con Andrew Bevan alcuni mesi fa. Il confronto con le esperienze straniere ‒ in modo particolare di ex (?) potenze coloniali ‒ è importante ma per qualche motivo mi voglio soffermare sull’Italia e sugli italiani.

Il discorso sulla ricerca dell’esotico è molto complesso, e probabilmente va nella direzione di una riflessione più profonda sull’identità. Ma identità personale e identità politica si incontrano sempre, anche quando non vorremmo.

E non dimentichiamo infine di pensare anche all’Italia colonizzata. Non credo esista un elenco di tutte le missioni di ricerca archeologica straniere in Italia. Ma certamente sarebbe interessante averlo, e sarebbe molto lungo. Non solo si scava e si cammina per l’Italia, ma si organizzano anche incontri di alto profilo (e non da ieri).

Di Stefano Costa

Archaeologist, I work in Liguria where I live with my family. In my studies, I spent most of my energies with the Late Antique and Early Medieval/Byzantine period on the northern side of the Mediterranean, focusing on pottery usage patterns. I'm also involved in open source and open knowledge initiatives.

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