Stefano Costa

There's more than potsherds out here

Faccio l’archeologo e vivo a Genova

Categoria: Libri

Ho sempre letto e scritto molto sin da piccolo. Una volta ho anche scritto un libro. È difficile dire quanti e soprattutto quali libri ho letto, comunque ultimamente sto cercando di tenerne traccia. Non posso dire che mi piacciano dei generi in particolare, nemmeno per i film. Se mi piace, vuol dire che ci trovo qualcosa di bello (e non è detto che sia sempre la stessa cosa a piacermi in ogni situazione).

Questi sono i libri che leggo.

  • William Gibson, archaeologist

    William Gibson, archaeologist

    Earlier this year, in cold January morning commutes, I finally read William Gibson’s masterpiece trilogy. If you know me personally, this may sound ironic, because I dig geek culture quite a bit. Still, I’m a slow reader and I never had a chance to read the three books before. Which was good, actually, because I could enjoy them deeply, without the kind of teenage infatuation that is quickly gone ‒ and most importantly because I could read the original books, instead of a translation: I don’t think 15-year old myself could read English prose, not Gibson’s prose at least, that easily.

    I couldn’t help several moments of excitement for the frequent glimpses of archaeology along the chapters. This could be a very naive observation, and maybe there are countless critical studies that I don’t know of, dealing with the role of archaeology in the Sprawl trilogy and Gibson’s work in general. Perhaps it’s touching for me because I deal with Late Antiquity, that is the closest thing to a dystopian future that ever happened in the ancient world, at least as we see it with abundance of useless objects and places from the past centuries of grandeur. Living among ruins of once beautiful buildings, living at the edge of society in abandoned places, reusing what was discarded in piles, black markets, spirituality: it’s all so late antique. Of course the plot of the Sprawl trilogy is a contemporary canon, and the characters are post-contemporary projections of a (very correctly) imagined future, but the setting is, to me, evoking of a world narrative that I could embrace easily if I had to write fiction about the periods I study.

    Count Zero is filled with archaeology, of course especially the Marly chapters. Towards the end it gets more explicit, but it’s there in almost all chapters and it has something to do with the abundance of adjectives, the care for details in little objects. Mona Lisa overdrive is totally transparent about it, since the first pages of Angie Mitchell on the beach:

    The house crouched, like its neighbors, on fragments of ruined foundations, and her walks along the beach sometimes involved attempts at archaeological fantasy. She tried to imagine a past for the place, other houses, other voices.

    – William Gibson. Mona Lisa Overdrive, p. 35.

    But really, you just have to follow Molly along the maze of the Straylight Villa in Neuromancer to realize it’s a powerful theme of all the Sprawl trilogy.

    The Japanese concept of gomi, that pervades Kumiko’s view of Britain and the art of Rubin in the Winter Market, is another powerful tool for material culture studies, at least if we have to find a pop dimension where our studies survive beyond the inevitable end of academia.

  • L’archeologa. Un topos narrativo piccolo e schifoso

    Sembra che a due famosi autori italiani sia piaciuto specificare che la coprotagonista femminile di un loro lavoro è laureata in archeologia. Detta così non c’è niente di male, ma in effetti non mi piace.

    Che la pop fiction italiana sia in stato comatoso non sono io a dirlo, ma lo ripeto volentieri, come preambolo.

    La piaga in cui oggi vorrei mettere il dito è la “laureata in archeologia”, ed è un topos narrativo piccolo piccolo, un topolino, ma anche schifoso. Dico che è piccolo perché l’ho trovato solo due volte. E magari sono il 100%, non so.

    Ma Lucarelli e Carofiglio sono due autori importanti, no? Mi dico che vale la pena di buttare giù questi pensieri.

    Ecco qui la prima apparizione: la seconda puntata della seconda serie dell’ispettore Coliandro (2×02), “Sesso e segreti”. La bella Claudia è la gnocca dell’episodio: è laureata in archeologia, ma preferisce giustamente guadagnare 5000 € a serata come escort piuttosto che fare la fame da archeologa. Chiaramente, lui si invaghisce di lei, lei di lui e vanno a letto.

    La seconda apparizione, più recente, è nell’ultimo di Carofiglio, “La regola dell’equilibrio”, una performance piuttosto imbolsita, fitta di autocompiacimento (soprattutto letterario-musicale) e cliché, sceneggiatura televisiva anzi che no. E la coprotagonista, l’inverosimile e poliedrica Annapaola Doria, è laureata in Archeologia (con la A maiuscola). Tra l’altro proprio nella pagina successiva gliela dà.

    imageOvviamente diciamo subito che non mi è piaciuto trovare questo accostamento, che è per di più un inutile orpello, visto che entrambi i personaggi potrebbero filare tranquillamente senza avere una laurea, o comunque senza averla in archeologia. Non ho niente contro le sex workers belle e spregiudicate, né con le investigatrici private dalla vita amorosa avventurosa. Anzi, proprio perché usare queste due categorie come stereotipo è già penoso, mi sembra ancora più scemo aggiungerci sopra la laurea in archeologia come peperoncino. Certo, la narrativa pop è fatta tessendo stereotipi, quindi da qualche parte dovranno pur pescare…

    La laurea in archeologia è sensuale? Esotica? La laurea in archeologia qualifica una persona come … sognatrice? investigatrice? attraente? procace? arrapata? Provo a domandarmelo, a concentrarmi non tanto sulle archeologhe vere, perché che siano un’altra cosa è fuori discussione, ma sulla percezione che il pubblico ha di chi segue questa strada, anzitutto dando per scontato che non ci sia modo di farlo davvero, l’archeologa (o, casomai, che un’archeologa non sia compatibile con una trama pop, anche di genere). Oppure sbaglio tutto, dovrei provare compiacimento? Magari ci sono altre categorie più tartassate e nemmeno lo so, non ci ho mai fatto caso.

  • Libri che ho letto nel 2014

    Libri che ho letto nel 2014

    Nel 2014 ho letto veramente poco. Un elenco abbastanza stringato:

    • La prosivendola, Daniel Pennac
    • Alta fedeltà, Nick Hornby
    • Il gioco grande del potere, Sandra Bonsanti
    • Per questo ho vissuto, Sami Modiano
    • È il tuo giorno, Billy Lynn, Ben Fountain
    • Baudolino, Umberto Eco
    • L’armata dei sonnambuli, Wu Ming

    Archaeology stuff:

    • In small things forgotten, Jim Deetz
    • Punk Archaeology, Bill Caraher, Kostis Kourelis, Andrew Reinhard

    Letture post-pedeutiche al viaggio in Patagonia, è stato anche meglio che leggerli prima:

    • In Patagonia, Bruce Chatwin
    • Patagonia, Chris Moss

    Saggi, uno solo ma fondamentale:

    • Capital in the 21st century, Thomas Piketty

    Se non vi scoccia ascoltare un consiglio, leggete Capital 21C, o almeno dedicate 20 minuti alla supersintesi video. Oppure al riassunto scritto di Cory Doctorow.

  • Introducing the Nobel Prize in Literature Index

    I have been thinking about my own ignorance in culture recently, questioning my self-perception as an intellectual.

    A good example of this is how many Nobel laureates in Literature I have never bothered to read at all. In some cases books were only assignments in highschool, but I think that counts as education after all.

    You can share my feeling of inadequate ignorance, too. Open the list of Nobel laureates in literature. Count how many authors you have read, only complete works or substantial parts are valid. The resulting number is your NoPLi index.

    Mine is a shameful 8.

  • Libri 2013

    Libri 2013

    Anche quest’anno una recensione sommaria dei libri che ho letto. Sempre troppo pochi. Libri vecchi e libri nuovi. Impressioni incoerenti. Questa non è una classifica.

    Wu Ming 1, Roberto Santachiara. Point Lenana

    Il mio libro del 2013. Perché?

    Primo, perché è un libro che racconta una storia che mi appartiene un po’, avendola ereditata, di gente che va in cima alle montagne. Capire chi e cosa è quel Club Alpino Italiano di cui ho una tessera socio con una mia foto da bambino sopra. Quel Felice Benuzzi ha qualcosa di familiare sotto tanti angoli, non ultimo una vita trascorsa nella diplomazia internazionale.

    Secondo, perché grazie a questo libro dopo tanti, troppi anni ho ripreso a camminare in montagna (1 vetta, altre 3 escursioni, 1 notte in rifugio). Ed eravamo in due a camminare!

    Point Lenana è il mio libro del 2013 perché ha messo in moto un meccanismo che non si è ancora fermato.

    Felice Benuzzi. Fuga sul Kenya

    Lettura obbligata, eppure così diversa da Point Lenana. Solo apparentemente il racconto semplice di una vicenda straordinaria, perché in effetti la scrittura ha molto a che vedere con quella scalata.

    E come ho avuto modo di commentare su Giap, la presa di consapevolezza che Felice ebbe al suo rientro nel campo di Nanyuki, il riconoscimento della “azione concentrata” come debolezza non è solo uno dei tanti momenti di antifascismo interiore (di cui si parla in Point Lenana) ma è secondo me anche uno specchio della lunga autocritica che Wu Ming ha fatto dopo Q e dopo il G8 di Genova.

    Giovanni Balletto. Kilimanjaro. Montagna dello splendore

    Lettura non scontata, questa. Come abbiamo scoperto dai libri precedenti, un medico alpinista genovese nell’Africa Orientale Italiana viene fatto prigioniero nel 1941, scala una montagna, torna libero e continua (cocciutamente?) a voler stare in Africa a fare il medico, vicino alla «Montagna delle Carovane». Balletto è diretto, semplice come salire in cima a un monte o morire di peste.

    Questo libro era in casa dal 1974. In casa di un medico alpinista genovese.

    Wu Ming 2, Antar Mohamed. Timira

    Il romanzo meticcio, cugino di primo grado di Point Lenana, è stato un lunghissimo sospiro di sollievo mentre ascoltavo Isabella, il primo personaggio femminile in un romanzo di Wu Ming che mi ha trasmesso qualcosa di umano. Non è che nelle opere precedenti i personaggi femminili non ci fossero, ma ho sempre avuto l’impressione che fossero in secondo piano, vagamente stereotipate. Serviva l’incontro con un personaggio in carne ed ossa per cambiare, per essere travolti dalla femminilità?

    Isabella è stata davvero un personaggio inimmaginabile ‒ il suo racconto è un antidoto molto potente contro quel “piccolo colonialista [che] occupa in pianta stabile i crani occidentali”.

    SIC. In territorio nemico

    La storia di In territorio nemico è potente e ripugnante, fa torcere le viscere. È scritta in un modo molto strano (la Scrittura Industriale Collettiva, SIC) da 115 persone. Il risultato è molto cinematografico e può sembrare poco “letteratura” perché è molto asciutto, diretto, ma io credo che abbia una carica epica invidiabile.

    Paolo Cognetti. Sofia si veste sempre di nero

    Ok, ammetto di aver comprato questo libro “solo” perché attirato dalla incessante macchina dell’entusiasmo dei lettori Minimum Fax (che ci prendono praticamente sempre). Sono dei racconti che si non si agganciano uno dietro l’altro ma complessivamente tengono eccome. Tutto intorno a Sofia, uscita direttamente da un fumetto, complicata, capricciosa. Cosa aspettano a comprare i diritti TV?

    Lo sfondo è interessante ‒ piccola borghesia, gioventù ribelle e alternativa, gli anni ’70 che bussano sempre alla porta ‒ ma non mi ha convinto del tutto (a parte il gasometro).

    Jeffrey Eugenides. La trama del matrimonio

    L’ultimo libro di Jeffrey Eugenides ovviamente è fatto di molti livelli diversi. Un po’ di appunti sparsi …

    A volte uno ha l’impressione che Eugenides in realtà sia una donna. Perché non mi viene in mente nessuno che abbia scritto al femminile così tanto e così bene. Ma sono stereotipi, cazzate.

    Grecia, a sprazzi. Ma intensamente presente come d’obbligo.

    Providence, cazzo. Quella Providence, quella di Lovecraft. Un effetto stranissimo vederla trasformata in una città universitaria. Sede di eventi di per sé banali, insignificanti. Eppure la storia letteraria ha il suo peso e nei momenti giusti si vede.

    Sesso. Eugenides continua a saperlo usare come un elemento vitale, con un realismo difficile da trovare (per eccessi nell’uno o nell’altro senso).

    Tempo. Il titolo del libro include la parola plot e con il plot Eugenides fa degli strani giochi, saltando avanti e indietro nel tempo, mescolando il ricordo con l’anticipazione.

    Murakami Haruki. L’arte di correre

    Questo libro è un regalo, che ho ricevuto perché nel 2013 mi sono messo a correre. Gli appunti su questo libro me li ero persi e arriveranno.

    J. R. R. Tolkien. Il cacciatore di draghi

    Nella bellissima edizione Einaudi con copertina rigida del 1975, un regalo inaspettato. Illustrazioni meravigliose. Una storia divertentissima e una satira tagliente. Che bello se potesse essere un racconto per bambini.

    Machine of Death

    Raccolta collettiva di racconti + fumetti, legati da un unico, assurdo tema: l’esistenza di una macchina che è in grado di predire la causa della vostra morte da un campione del vostro sangue. La macchina ha un pessimo senso dell’umorismo. Nonostante prevalga l’humour nero, non è una lettura leggera e ci sono alcune storie che vorrete rileggere.

    L’unico libro in inglese che ho letto. What a slack.

    James Ellroy. American Tabloid

    Questo l’ho voluto leggere perché quei mangiapreti dei Wu Ming hanno sempre detto che era stato l’ispirazione per Q. E accidenti se è stato di ispirazione. Leggetelo e lascerete Veltroni da solo a pensare che JFK sia stato un mito.

    Mauro Vanetti (curatore). Tifiamo Asteroide

    Una folle raccolta di 100 racconti in cui alla fine c’è un buco per terra al posto del Presidente del Consiglio Enrico Letta, con la musica in sottofondo. Il modo in cui si arriva a questo finale è lasciato agli autori dei racconti. Sì, ci sono anche io. E leggetevelo, che si scarica.

     ⁂

    Per il reparto saggistica, una cosa interessante e una cosa noiosa.

    Alessandro “jumpinshark” Gazoia. Il web e l’arte della manutenzione della notizia

    Ebook di lettura semplice, molto chiaro nell’esposizione anche se forse un po’ troppo schematico e ripetitivo.  Lettura fortemente consigliata per chi ha a cuore l’informazione, e costa meno di un cornettoecappuccino.

    Tomaso Montanari. Le pietre e il popolo

    Non si capisce per chi sia scritto questo libro.  Non lo capisco io, diciamo. Se è scritto per il popolo, allora è sicuro che il popolo non lo leggerà. Se è scritto per gli specialisti, allora è inutile visto che ripete cose abbastanza note. Il messaggio è lo stesso che va ripetendo da anni Salvatore Settis, con scarsi risultati. Forse i professori universitari non sono le persone più indicate per cambiare le cose?

  • Duemiladodici in libri: un anno di letture

    Avendo fallito miseramente nel tentativo di recensire uno ad uno i libri che ho letto nel corso del 2012 appena finito, tento almeno un elenco.

    A metà del 2012 ho ricevuto in regalo un lettore di e-book e questo in parte ha cambiato il modo in cui leggo. Ho letto la maggior parte dei libri in questo modo. Nel complesso il miglioramento è notevole, anche se fatico ancora un po’ a rinunciare ad un bel libro da toccare e maltrattare.

    • Carmine Abate, La collina del vento
      Ho ricevuto un consiglio che non potevo rifiutare. Il premio Campiello non si vince per niente. Banalizzando tutto, cent’anni di solitudine di una famiglia Malavoglia calabrese, con una trama archeologica. Ma che bisogno c’è di banalizzare, leggetevelo (caveat emptor)
    • Kurt Vonnegut, Dio la benedica, dottor Kevorkian
      Scoppiettante.
    • Antonella Beccaria, Anonymous
      Non svela nessun segreto, tranquilli. Ma fornisce un approfondimento che altrimenti vi dovreste ricostruire a gran fatica in rete.
    • Sergio Dent, Piove anche a Roma
      Un po’ troppo didascalico nelle parti politiche. Anzi, decisamente troppo. Più interessante l’immagine del quartiere/città e il protagonista. Se lo leggete, e vi domandate qualcosa sulle parti in cui si parla di sesso e cinema hard, leggetevi “8 possibili saggi sul porno” (punto 4). Ah, come si capisce dalla copertina non è ambientato a Roma.
    • Vitaliano Ravagli e Wu Ming, Asce di guerra
      Sotto molti aspetti il mito fondativo di buona parte dell’epica di Wu Ming degli anni 2000. Una serie di pugni nello stomaco.
    • Wu Ming, Anatra all’arancia meccanica
      È interamente favoloso. Più di tutto mi sono affezionato ad American Parmigiano, perché racconta la mia storia e quella di tanti amici, e ad Arzèstula, perché io in quell’autogrill del futuro ho passato molto tempo, nel passato di Vignale.
    • Collettivo Gran Bollito, Futuro Anteriore. Archeologia del dopo catastrofe
      La particolarità di questo libro è nel fatto che ho contribuito in minima parte come autore. No, seriamente, è un oggetto narrativo non identificato di facile lettura e inaspettata chiarezza.
    • +Kaos. 10 anni di hacking e mediattivismo
      Composto sotto forma di racconto più che di resoconto, fatto di interviste, un bello spaccato di come si è evoluta la Rete in Italia tra chiari e scuri.
    • Wu Ming 4, Stella del mattino
      Probabilmente il piacere che si prova a leggere questo libro è direttamente proporzionale a quanto si conoscono i personaggi. Il punto è che potete farne la conoscenza direttamente leggendo il libro.
    • Wu Ming 1, New Thing
      Ricordo di avere pensato «Oh no… mi renderò finalmente conto che le quattro panzane jazzistiche che ho scritto anni fa tra le righe di un libro che hanno letto solo 6 persone erano totalmente assurde!». Ma non era vero. Quanta rabbia c’è.
    • Wu Ming, Previsioni del tempo
    • Wu Ming 2, Guerra agli umani
    • Wu Ming 2, Il sentiero degli dei
      Questi tre stanno insieme … perché condividono molte cose, alcune delle quali hanno a che fare con l’ambientazione. Cosa vuol dire avere a cuore un luogo?
    • Antonio Gramsci, Lettere dal carcere (ancora in corso)
      Una lettura non leggera, a tratti noiosa, che vorrebbe essere un preludio a letture ancora meno leggere, sempre di Gramsci.
    • Lawrence Lessig, Code 2.0 (ancora in corso)
      Posso già dire che questo libro è stato scritto prima che Facebook esistesse, eppure ne spiega tutto.

    Se vi sembra un elenco monotematico, è possibile che lo sia. Se uno non può fissarsi su qualcosa, che gusto c’è a leggere?

  • DRM: buoni e cattivi

    Il DRM è quell’insieme di tecnologie che impediscono di copiare liberamente un contenuto digitale: una traccia audio, un libro, un filmato. Il DRM serve a “bloccare la pirateria” ma in realtà non blocca proprio niente ed è solo una seccatura.

    Di recente ho acquistato 3 libri digitali dalle seguenti case editrici:

    Minimum Fax e Ultima Books non usano DRM. Il file EPUB che viene fornito dopo l’acquisto contiene il nome dell’acquirente per scoraggiarne la diffusione, ma è finita lì. Mettiamo il caso che volessi prestare il libro alla mia fidanzata, posso farlo tranquillamente, come farei con un libro normale. Inoltre, posso scaricare il file EPUB con il mio browser e trasferirlo sul lettore usando Calibre o semplicemente copiandolo nella memoria. Con qualunque sistema operativo, per capirci, incluso quello che uso io cioè Debian.

    Mondadori usa DRM. Dopo l’acquisto posso scaricare un file .acsm che andrà caricato in uno specifico programma (Adobe Digital Editions), ovviamente disponibile solo per certi sistemi operativi. E a quel punto sempre di certi sistemi operativi avrei bisogno per caricare il file sul mio lettore. Ma come dicevo prima il DRM è solo una seccatura e non blocca proprio niente: si rimuove facilmente e il file EPUB può essere tranquillamente copiato sul mio lettore. O me ne posso fare un backup, oppure prestarlo a qualcuno. Tutte cose che il DRM non mi permette di fare. La lista delle case editrici italiane che usano DRM è lunga (es. Adelphi, che pure ha in catalogo libri molto desiderabili) e non mi sembra un caso che le piccole case editrici ne stiano alla larga, visto che il DRM è un sistema di monopolio. Non spendiamo nemmeno un minuto su Amazon, dove al DRM si aggiunge anche un bel formato proprietario, tanto per rimanere in tema di monopoli.

    Essere trattato da “pirata cattivo” dopo aver comprato qualcosa è talmente sgradevole che non ho nessuna intenzione di ripetere l’esperienza. È utopico pensare che tante altre persone scelgano di fare altrettanto, ma almeno è altrettanto utopico che si smetta di rimuovere il DRM dai libri.

  • La pietra scritta di Senarega

    La pietra scritta di Senarega è un romanzo di Marcellino Dini, ambientato (principalmente) in Valbrevenna. Dini non è uno scrittore di mestiere, ma questo è il suo secondo libro ambientato nelle valli dell’Antola.

    La narrazione ha inizio nel 551 a.C. e questo è forse il percorso più bello tra le varie storie che si intrecciano a cavallo tra passato remoto e presente: dare un nome, un volto ai Liguri che abitavano queste valli in epoca così remota è infantilmente affascinante, così come cercarvi l’eziologia toponomastica. È un peccato che i romanzi storici abbiano così paura di avventurarsi al di fuori dei confini cronologici sicuri di mondi e civiltà che tutti credono di conoscere (i Romani, per dire). Ma questo non è un romanzo storico.

    L’intreccio sembra ispirarsi al Codice da Vinci (che non ho letto, poco male): c’è una reliquia strettamente legata a Gesù, un intrigo internazionale… però il bello è che, con un breve episodio parigino, tutto è ambientato tra Genova, Crocefieschi e la Valbrevenna. E tutto sommato, l’ambientazione regge alla trama movimentata.

    Interessante, salvo occasionali momenti melensi, il personaggio dell’archeologa-super-esperta Mary Armanino, nella sua sfaccettatura di discendente di emigrati. Altrimenti è un po’ troppo “super” per essere credibile: bellissima, bravissima, al soldo di una organizzazione internazionale potentissima che mi ha ricordato per certi versi la SD-6 della serie tv Alias. Gli altri personaggi sono nella parte, ognuno al suo posto: i bravi sono bravi e i cattivi sono cattivi. Questo è un po’ noioso, in fin dei conti, specialmente alla fine, anche perché non si capisce (eticamente) per quale motivo Zevi che vuole tenere per sé la reliquia sarebbe più “buono” dei “cattivi” che la vogliono usare per i loro fini. Certo, c’è una dose di mistero che aleggia su di essa, c’è la segretezza assoluta resa indispensabile dal coinvolgimento di organizzazioni di altissimo livello…

    La lettura è piacevole, ma ci sono qua e là delle cadute di stile abbastanza evidenti. L’insistenza sull’attrazione fisica di Marco per Mary è sinceramente eccessiva (i momenti di sfogo di questa attrazione sono un po’ da Harmony ma lasciamo passare..), ed è un po’ troppo dettagliata la descrizione fisica e psicologica che viene fatta di ogni personaggio (anche minore) alla sua prima apparizione.

    Sotto molti aspetti mi piace pensare che questo libro si possa classificare come letteratura di serie D: dove la “d” sta per dilettante nel senso originale e positivo del termine, ovvero di qualcuno che trae diletto dalla scrittura, e che la affronta con passione. Rispetto alle serie A, B, C manca, a mio avviso, un lavoro di editing significativo che è caratteristico della produzione professionale.

    La pietra scritta di Senarega è pubblicato da LiberoDiScrivere (sulla pagina della scheda si legge anche la prefazione scritta da … mio padre, e il primo capitolo).

  • Middlesex

    Dopo almeno sei anni che lo vedevo girare sulle scrivanie e nelle borse degli amici, sono riuscito a leggere Middlesex di Jeffrey Eugenides, e a capire perché avrei dovuto leggerlo prima. Ma ogni libro arriva quando è il suo (e nostro) momento.

    Se devo dare una colpa per questo ritardo, punterò il dito contro la copertina. Sì, sto parlando di te, Oscar Mondadori. Perché mai questa immagine in copertina?

    Perché Middlesex è bello. Una bella storia, scritta bene (da un premio Pulitzer, direte “bella scoperta”). Sono un occasionale divoratore di libri, ma non mi capita tanto spesso di leggere 602 pagine in meno di 12 ore. Eppure così ho fatto, complice un lunghissimo viaggio dall’aeroporto di Heraklion a Marzano ai primi di agosto. Forse essere in viaggio aiuta a far scorrere questa storia di tre generazioni che inizia nel 1922 in Asia Minore. Forse aiuta essere in Grecia, anche se in Middlesex si capisce a fondo la differenza tra stato e nazione (così difficile da concepire per un italiano).

    La prima parte è forse quella che mi ha catturato di più, perché nonostante tutto conosco così poco del 1922, delle guerre e delle deportazioni e delle persone che le hanno vissute. Si potrebbe dire: non ti basta la storia d’Italia? Non potresti interessarti dell’Istria? Sì, potrei. Ma negli ultimi 7 anni è in Grecia che ho passato sempre più tempo, che ho imparato piano piano a conoscere i posti, a riconoscere le parole ascoltate per strada. A capire la differenza tra il prima e il dopo le deportazioni di massa. Atene è diventata una città, dopo il 1922, per dire.

    Dopo ci sono storie che attraversano un secolo o quasi di storia americana, ma anche quella esce fuori poco alla volta. I genitori di Cal sono ancora degli immigrati, pur essendo nati a Detroit. Forse è proprio questo uno dei tratti distintivi della società statunitense raccontata da Eugenides, dove i personaggi sono gli immigrati, quelli che faticano a trovare un posto che sia il loro, che sono costretti a cambiare e a fare i conti con il cambiamento, fino all’ultimo. Come Cal.

    Tutto il libro è incredibile per la (paranoica?) attenzione ai particolari, che però scorre tranquilla, senza momenti di assurdo dettaglio. Non c’è nessuna sospensione del giudizio lì a fare capolino, perché è tutto storicamente e umanamente autentico, forse anche perché Eugenides ha sempre un tratto fortemente autobiografico (questo ovviamente si scopre leggendo la sua biografia). Il mio metro di valutazione è labile: conosco poco e niente la letteratura contemporanea a stelle e strisce, se escludo letture comunque inorganiche di Paul Auster e altri scrittori. Poi uno scrittore che in 18 anni ha pubblicato 3 romanzi si lascia comunque apprezzare: mal che vada il tempo perso non è moltissimo. Accidenti alla copertina, sono appena in tempo per leggere il nuovo romanzo di Eugenides.

  • The Iron Heel

    The Iron Heel è un romanzo di Jack London pubblicato nel 1908. Visto che Jack London è morto nel 1916, The Iron Heel, così come tutti gli altri suoi romanzi, è nel pubblico dominio. Ultimamente ho deciso di dedicare una parte delle mie letture ad opere di pubblico dominio: in effetti, moltissimi classici sono in questa condizione. Mi ero ripromesso di leggere questo romanzo qualche mese fa, dopo aver letto dei brevi racconti distopici di poco successivi a questo.

    Ho letto il libro in digitale sul mio netbook. Non comodissimo, ma in fin dei conti la lettura scorre agevolmente.

    Ovviamente in Italia di Jack London sono noti soprattutto i romanzi “avventurosi” ambientati nel Klondike, che facevano parte della letteratura d’infanzia standard ancora una ventina di anni fa (oggi, non lo so). Questo è un London molto diverso, per certi versi precursore di opere molto famose come 1984 e apertamente socialista. Ci sono elementi tradizionali come il rinvenimento di un manoscritto secoli dopo la sua stesura, anzi in questo caso è il manoscritto a costituire il corpo principale del romanzo, interrotto dalle note a volte lunghissime del narratore, che vive in un 27esimo secolo in cui il socialismo ha realizzato i suoi programmi, dopo quattro secoli di oppressione da parte dell’oligarchia capitalista, del tallone di ferro.

    È davvero notevole il fatto che London scriva nella prima persona di Avis Everhard, cioè di una donna. Forse questo personaggio femminile non è riuscitissimo, nel senso che ha un percorso lineare che la porta in brevissimo tempo da essere una “figlia di papà” di inizio ‘900 a rappresentare il fulcro di una organizzazione internazionale socialista sotto copertura. Ma in fondo non è quello l’obiettivo: i personaggi di The Iron Heel sono quasi allegorie delle rispettive classi sociali che rappresentano, di traiettorie possibili e impossibili negli Stati Uniti d’America di cento anni fa.

    La popolazione nera è ancora “gente dell’abisso”, se si esclude la fugace apparizione di Jackson nei primi capitoli del libro. La rivoluzione socialista richiede il sacrificio di migliaia e migliaia di persone: la tensione è sempre oltre il presente. Nel romanzo solo la prospettiva “aliena” di Meredith, uomo del futuro socialista, rende accettabile l’ingenuità degli uomini e delle donne del presente e la loro fede incrollabile.

    Un discorso a parte merita la fine del romanzo. Anche qui (per quanto ne posso sapere io, almeno) London rompe gli schemi: da un lato sceglie uno stratagemma infantile per non allungare eccessivamente la storia, ed evitare di doversi dilungare dopo che gli eventi sono precipitati, perché tutto quello che succederà dopo la fine del manoscritto è già scritto, e all’oppressione succederà la rivoluzione. Dall’altro, ci vuole un bel coraggio (letterario) a lasciare una storia praticamente a metà.

    The Iron Heel si scarica dal progetto Gutenberg, ed è anche nella collezione di audiolib(e)ri di LibriVox.