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  • Acqua per Genova: un altro filmato sulla costruzione della diga del Brugneto (1958)

    Acqua per Genova: un altro filmato sulla costruzione della diga del Brugneto (1958)

    Nella puntata precedente avevo scritto che non era quello l’unico filmato d’epoca sulla costruzione della diga del Brugneto. E infatti ce n’era un altro, solo un po’ più nascosto del precedente: assente sia sul canale YouTube sia su Europeana, si trova solo sul sito ufficiale dell’Archivio LUCE. Una scheda leggibile del filmato è sempre sullo stesso sito, in formato PDF, e ci spiega che si tratta del cinegiornale Mondo Libero n. 367 del 21 agosto 1958. I lavori di costruzione della diga e delle condutture fino a Genova erano abbastanza vicini alla loro conclusione.

    Sono passati solo due anni dal filmato precedente ma sembrano mille: abbiamo lasciato la voce di stampo fascista che accompagnava con toni trionfalistici il racconto ma … la sostanza non cambia molto. È sempre il fabbisogno di Genova in primo piano, contano i metri cubi e il fatto che i lavori procedano spediti, per colmare quei 18 km. Si vedono molte persone all’opera e le strutture ancora a metà. Un documento importante, da aggiungere al piccolo archivio che sto curando, con lentezza.

    Anche questa volta mi sono preso la libertà di scaricare direttamente il filmato, visto che dal sito indicato sopra è necessario usare il plugin SilverLight.

     

  • The Dunning-Kruger paradox

    The Dunning–Kruger effect is

    a cognitive bias in which unskilled individuals suffer from illusory superiority, mistakenly rating their ability much higher than average.

    (Wikipedia)

    The Dunning–Kruger paradox is the illusory superiority of those who know of the Dunning–Kruger effect, mistakenly rating their knowledge higher than those who do not know it.

    Further recursion steps are not allowed.

  • The OSGeo umbrella

    The Open Source Geospatial Foundation ‒ OSGeo ‒ is an umbrella organization for a lot of free and open source software projects focused on geospatial technology, that is, maps 🙂

    Artistic closeup of a coloured umbrella, steve trigg

    Projects range from low-level programming libraries like GDAL/OGR (that is also used by ESRI software) to full-fledged desktop apps like QGIS and gvSIG and powerful web-mapping frameworks (GeoServer and MapServer). But there’s much more, really. Take a look for yourself on the OSGeo wiki.

    Being an umbrella means that

    OSGeo Projects are freestanding entities, handled by their own Project Steering Committees.

    so I have been wondering how much interaction there is among OSGeo projects, looking at people who are members of Project Steering Committees (PSC). PSCs are the governing body of each project, and they vary a lot in membership size, structure and activity, but ultimately their purpose is the make sure that nothing happens in isolation and that decisions are consensus-driven in democratic way, as required by the OSGeo rules.

    My initial idea was simple: look at PSC membership as a graph, with members and projects as nodes, all converging into OSGeo. That makes for a nice umbrella-shaped graph!

    The OSGeo umbrella - smallSmall black dots represent PSC members. You will notice that several members are part of more than one project. That’s the OSGeo cabal! Almost like a Swedish conspiracy!

    In yellow: the cabal, revealed!
    In yellow: the cabal, revealed! Click for the larger version.

    Jokes aside, there is of course some connectedness, namely in two clusters: the webmapping cluster and the “founders” cluster: GDAL, UMN MapServer, PROJ.4 (part of MetaCRS), GEOS and PostGIS are all OSGeo founding projects and are in many cases the core components of the OSGeo software stack.

    The (not so) nice graphs were put together in the DOT language and plotted with the following command:

    sfdp osgeo-projects-psc.gv -Tpng -o osgeo-big.png

    The source file is found in this gist and is free to use if you want to develop new visualizations.

    Of course this is by no means informative of the actual interaction of the larger OSGeo community (that is orthogonal to projects), and even within projects there is much more to look at: mailing lists, code repositories, issue trackers, etc. The nice thing here is that to obtain the data I needed I took the opportunity to review the available information and even fixed a few things in the wiki page linked above. Take it as a first step in developing a wider understanding of the “hidden structure” in the OSGeo community.

  • Arrivano i Cultural Heritage bloggers: ma chi sono?

    Come dice Marina Lo Blundo: ho scritto questo post per il blog della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum 2013. Quest’anno per la prima volta a Paestum si riuniranno alcuni tra i più attivi blogger di archeologia in Italia, in un incontro organizzato apposta per loro e dal titolo “Archeoblog” che non lascia spazio a fraintendimenti di sorta. Cinzia Dal Maso del blog Filelleni ci ha chiamato alle armi, noi abbiamo risposto. Ma prima di incontrarci di persona cominciamo a fare un po’ di casino qua e là in rete. Perché di cose da dire ne abbiamo, e molte.

    La nota di avviso su una pagina Wikipedia: leggere con attenzione!
    La nota di avviso su una pagina Wikipedia: leggere con attenzione!

    Che reazione avete quando trovate un avviso tipo “questa pagina ha dei problemi” su Wikipedia? Io mi sento sollevato, perché qualcuno ha controllato e ha segnalato che devo leggere prestando attenzione, che non tutto quello che leggo potrebbe essere corretto, che se qualcosa non mi torna forse ho ragione io. Leggere prestando attenzione. Leggere. Prestando. Attenzione. È molto difficile, ma credo che ne valga lo sforzo.

    E i blog? Non ci sono quegli avvisi sui blog! Facciamo un esempio. La mostra al museo. Un must. Il blogger culturale visita la mostra con occhio esperto, quasi sornione. Ne ha viste mille di mostre. Pubblica qualche foto social durante la visita (se si possono scattare, altrimenti si può sempre fotografare il biglietto, la locandina o il poster), poi la sera a casa apre il suo blog e inizia a comporre:

    La mostra sugli ori di Givopoli è un esempio bellissimo di nuove tecnologie applicate all’esposizione museale. Nella favolosa cornice del museo Ripanti di Podello …

    Sicuramente avete riconosciuto lo stile: quello che descrive, magari con entusiasmo, solo cose bellissime. Io penso che i cultural heritage blogger possano fare di più e meglio ‒ e alla fine ne guadagnerà anche la promozione.

    Facciamo un esempio più concreto, che mi aiuta anche a sviluppare il ragionamento: la mostra su Augusto da poco inaugurata alle Scuderie del Quirinale. Maria Pia Guermandi ne ha scritto sul suo blog, commentando ampiamente le scelte espositive, i contenuti, il progetto editoriale. Dal titolo “Augusto, straniero a Roma“ si capisce che il giudizio non è positivo. Poter esprimere giudizi negativi (sottolineo di nuovo: informati, argomentati) è importante, sano e stimolante per la conversazione!

    Confrontate ora quell’articolo con quello molto più breve pubblicato da Giovanni Fantasia sull’Huffington Post. In fondo stiamo leggendo sulle piattaforme web di due testate editoriali, potremmo aspettarci qualcosa di più simile. Fantasia è un giornalista, Guermandi no, ma lui scrive come un blogger e lei scrive come una giornalista. Che confusione! Non bastava scrivere su un blog per essere blogger?

    Ma soprattutto, come da tempo si chiedono giovani archeologi alle prese con la comunicazione, qualcuno sarà disposto a pagare un archeo-blogger o una cultural heritage blogger? Magari un museo, uno dei tanti con una strategia di comunicazione che fa vergognare molti e ingegnare alcune?

    Parliamone, parliamone a Paestum e parliamone in rete. Se il blogger diventa un creatore di contenuti (e gestore del sito, dell’account social, etc etc) retribuito dall’istituzione culturale guadagna qualcosa economicamente, ma perde in libertà ‒ come puoi scrivere sul blog del tuo museo che la mostra appena inaugurata non è un granché, oppure che per il quinto anno consecutivo l’assessorato ha tagliato i fondi al museo civico … ? Se la blogger rimane indipendente e autoprodotta, mantiene la libertà ma rimane al verde… a meno che non ci sia qualcuno che paga per sostenere una informazione libera, indipendente, brillante sull’archeologia e sul patrimonio culturale. E secondo me è di questa che abbiamo disperatamente bisogno.

     

    Appendice: cosa faccio io con/su i blog?

    1. scrivo. Nel web 2.0 si scrive poco e si legge molto. Questo a lungo andare atrofizza la scrittura, che invece è importante e va tenuta in allenamento. Avere un blog è un allenamento per la scrittura ‒ anche se non vi legge nessuno.
    2. racconto. Mi annoio a scrivere resoconti sintetici, preferisco dedicare più tempo e raccontare un evento, un incontro, una storia ripercorrendo i miei passi. A volte impiego mesi e mesi prima di completare un post.
    3. dialogo. Ho la fortuna di avere dei compagni di viaggio con cui dialogare a colpi di commenti, pingback e @-replies. Da loro imparo cose nuove, cercando di non chiudermi in una bolla dove sono circondato solo da quello che mi piace.
    4. critico. Spesso trovo opinioni e azioni altrui che non mi piacciono, e dico la mia. Avere un’opinione (possibilmente informata) è importante, e credo che chi scrive di archeologia non possa farne a meno. In altre parole, non credo nel blog unicamente come una forma di cronaca né di comunicazione promozionale. Entrambe sono infatti a senso unico, al contrario della critica che dice «Ehi! Io la penso in un altro modo, parliamone».
  • Report, Firenze e il patrimonio culturale in affitto

    Qualche giorno fa un servizio della trasmissione TV Report ha affrontato il tema dell’affitto di palazzi, musei e altri luoghi “della cultura” per iniziative private. Non ho visto la puntata in diretta, che si può comunque riguardare sul sito di Report (con tanto di PDF ‒ il filmato si può scaricare senza Silverlight direttamente da qui). Il tema non è nuovo, il Prof. Tomaso Montanari già da tempo ha portato il tema all’attenzione del grande pubblico e alcuni mezzi di informazione se ne occupano in modo abbastanza regolare. La novità questa volta è che c’è stata una risposta molto lunga e dettagliata da parte della Soprintendente Cristina Acidini.

    Trovo salutare che ci sia un dibattito nel merito di questo tema, anche se non mi è facile esprimermi in merito, visto che

    Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’amministrazione.

    come è scritto nel Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

    Ci sono alcune osservazioni che mi sento comunque di fare, su entrambi i versanti della vicenda.

    Molti servizi di Report terminano con un commento laconico in cui si dice che la o le persone di cui si parlava nel servizio sono state contattate per fornire la loro versione dei fatti, ma tale offerta è stata declinata. Non mi pare che questo sia il caso del servizio del 28 ottobre, che offre un racconto a senso unico delle vicende, intervistando prima la consigliere comunale Ornella De Zordo e poi Tomaso Montanari (oltre ai passanti, di cui si potrebbe fare sempre a meno, senza eccezioni). Può darsi che sia stato chiesto comunque, non lo sappiamo, ma dalla risposta della Soprintendenza parrebbe di no. Si potrebbe discutere sulla opportunità di accorpare istituzioni comunali e statali in questo servizio, ma non credo sia un problema, poiché vengono trattate separatamente. È certamente inutile e ad hominem la polemica finale sul crocifisso di Michelangelo.

    La Soprintendenza, dal canto suo, fornisce una risposta molto dettagliata (che per la cronaca alcuni hanno definito “coda di paglia”). Credo che le informazioni fornite in merito all’entità degli introiti, alla loro destinazione e ai criteri di valutazione dovrebbero vedere la luce non in risposta a polemiche, ma in modo automatico ‒ stiamo parlando di uno dei maggiori poli museali del mondo e quindi i cittadini possono aspettarsi un livello di trasparenza amministrativa superiore alla media. Non perché ci debba essere per forza un inghippo da scoprire (o tenere nascosto) ma semplicemente perché questa è la direzione in cui la PA sta andando. Se ne parla da anni a ForumPA, ci sono disposizioni e decreti, ma sappiamo tutti che le buone pratiche hanno bisogno di più tempo per crescere e spero, come cittadino e come dipendente MiBACT, che questa sia una buona occasione per fare qualche passo in quella direzione. Un secondo punto che mi sembra importante riguarda la

    […] bozza di tariffario dei canoni da applicare ai concessionari di spazi museali, un documento di lavoro elaborato nello scorso luglio, destinato a un uso interno della Soprintendenza, ma evidentemente fatto uscire all’esterno a insaputa del Soprintendente. Su questi dati provvisori sono stati espressi i commenti di cui sopra.

    ovvero il documento su cui Tomaso Montanari basava le sue valutazioni negative. Quello su cui non sono d’accordo è la critica che viene fatta all’uso giornalistico di questo documento:

    Ci si può chiedere a quale standard etico corrisponda l’avvalersi in pubblico di materiale riservato, uscito senza alcuna autorizzazione in quanto indebitamente sottratto.

    I giornalisti usano fonti, e il fatto che un documento sia riservato o meno non è un criterio giornalistico. Le inchieste giornalistiche funzionano così, e dobbiamo essere contenti che ci siano inchieste giornalistiche, anche con le loro mancanze (vedi sopra), che permettono al pubblico di informarsi e approfondire. Io credo che il problema più grave dei luoghi della cultura in Italia sia proprio che sono fuori dal radar del quotidiano. Spero che le precisazioni della Soprintendenza (dovute e circostanziate) siano valide di per sé e che questa vicenda non prosegua come tante altre a colpi di querele.

    Comunque, è un altro il problema messo a nudo da questo dibattito, almeno dal mio limitato punto di vista, quello dell’archeologo. Chi si indigna vorrebbe questi luoghi relegati nella sfera del sacro, o per lo meno dell’esageratamente caro ‒ in fondo la polemica nasce dal fatto che personaggi sfacciatamente ricchi avrebbero avuto sale e giardini in affitto a prezzi stracciati: andavano spremuti per bene. E giù a sciorinare le cifre che sarebbero appropriate (forse pagando mezzo milione di euro il rischio di incendi in museo diminuisce?). In definitiva, come sempre, guai a toccare la culla del Rinascimento, il trionfo dei bellissimi affreschi e così via. Io penso che se Cultura in Italia continua a far rima con Bellezza, possiamo pure continuare a redigere il listino prezzi e (s)vendere alle élite di oggi i fasti delle élite di ieri, mentre il pubblico sta a guardare e le luci della scena sono sempre e comunque puntate lì, sui capolavori, sulle meraviglie.

    Ogni tanto qualcuno mi chiede se lavoro per le Belle Arti (sic) e le «testimonianze materiali aventi valore di civiltà» rimangono nei magazzini, nei musei di provincia, nelle località sperdute dell’Italia. Di quelli in tv difficilmente vedrete parlare.

  • Caro Mario Calabresi…

    … poiché nel suo articolo di oggi ha (come direbbe il presidente del Consiglio) rovesciato la frittata invece che affrontare il problema, voglio fare un tentativo di spiegarmi, di capire.

    Il problema è ovviamente l’articolo di Gianni Riotta pubblicato ieri da La Stampa. Mi limito all’articolo perché, netiquette (e/o buonsenso) alla mano, quello che è avvenuto dopo la pubblicazione è stato semplicemente penoso.

    Lei scrive che Glenn Greenwald avrebbe torto, poiché ha accusato l’articolo in questione di essere una rara collezione di bugie senza però indicare nello specifico quali siano queste bugie. Siccome sono un groupie, provo ad addentrarmi in alcune di queste bugie, per vedere quanto è difficile riconoscerle da soli anche senza i segni della matita rossa.

    Primo. Scrivete che Greenwald accusa Riotta e La Stampa. In realtà sono Riotta e La Stampa che hanno accusato Greenwald di: essere un attivista e non un giornalista; non verificare le proprie fonti; non trattare le fonti in modo responsabile; essere asservito al potere economico di eBay (avendo perdipiù la doppia morale). Evitando la retorica del “ma avete letto bene quello che ha scritto Riotta”, se siete disposti a negare che quell’editoriale contenesse delle accuse dirette, pesanti e prive di fondamento c’è qualcosa che non va, qualcosa di infantile. Il suo editoriale di oggi cerca di salvare capra e cavoli citando ampi stralci di un precedente editoriale, ma non convince, proprio perché di “fatti che non ci piacciono” nell’articolo di Riotta non ne troviamo. Meno male che ci sono altri editorialisti più competenti, anche senza cambiare quotidiano.

    Secondo. Se in un articolo che parla di Greenwald e (indirettamente) di Snowden possiamo tranquillamente leggere il nome di Putin e addirittura del Kgb, oltre che di eBay, non vedo perché non si possa, per esempio, parlare di Riotta e de La Stampa citando anche Marchionne e la Chrysler. Ma preferirei una Informazione pertinente.

    Terzo, importante. Riotta che accomuna lo spionaggio preventivo e indiscriminato da parte della NSA alla raccolta di dati da parte delle società private come Facebook, Google etc. è veramente il punto più basso dei contenuti dell’articolo. L’associazione tra le due attività è non solo falsa, ma perniciosa a più livelli. Anzitutto l’attività di raccolta dati dei grandi player privati è sempre stata del tutto nota, esplicita e regolamentata ‒ mentre i programmi di spionaggio della NSA sono illegali, non a detta di un ingenuo groupie ma di tanti cittadini, organizzazioni e imprese statunitensi che non vogliono né essere spiati né avere la colpa di spiare il resto del mondo. Il fatto che la maggior parte degli utenti dei social network (e di eBay, Amazon, etc.) tolleri passivamente l’attività di data mining condotta su di loro non rende questo fenomeno un buon metro di paragone. Anche se il mio supermercato conosce le mie abitudini alimentari tramite la mitica tessera fedeltà, questo non è un buon motivo perché qualcun altro inizi a spiare nelle mie borse della spesa per scoprire le stesse informazioni, che sia un altro supermercato, una agenzia dello Stato o il mio vicino di casa. Da parte di un giornalista che inserisce “Big Data” all’inizio del suo profilo Twitter, è lecito aspettarsi meno pressapochismo e informazioni corrette.

    Quarto, breve. Il “Far West” si trova negli Stati Uniti d’America, in cui il direttore della NSA si sente libero di testimoniare il falso di fronte al Congresso, perpetrando la totale assenza di controllo sulle proprie attività.

    Quinto, finale. Abbiamo scoperto una brutta storia grazie a Snowden, Greenwald, il Guardian e tanti professionisti dell’informazione giornalistica. Se la morale della storia è che le agenzie di sicurezza dei “buoni” devono coordinarsi meglio tra loro invece che spiarsi a vicenda, e noi cittadini possiamo anche subire in silenzio la sorveglianza ‒ un po’ come facciamo con le file al controllo bagagli (fastidiose, dichiaratamente inutili quanto le telecamere in strada, con buona pace di Riotta), non resta che ringraziare il signor Pierre Omidyar, preparandoci a criticarlo come un qualunque altro proprietario di mass media.

  • Quella volta che @riotta mi ha ritwittato

    TL;DR Gianni Riotta è un vanesio incompetente.

    Sul web tutti possiamo avere i nostri 15 minuti di gloria. Anche a me è capitato, e tutto grazie a @riotta, l’account Twitter di Gianni Riotta.

    Ma facciamo un passo a destra, con un quiz. Sapete indicarmi a quale anno del calendario gregoriano mi riferisco con l’espressione seguente:

    Anno XCI E.F.

    Dai, lo sapete, non v’è dubbio. È il 1923. MCMXXIII ad essere precisi. In cui succede un po’ di tutto, dal brevetto dell’iconoscopio alla nascita della città di Imperia, dalla crisi di Corfù alla riforma Gentile. E la fondazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Questo è l’evento di cui parliamo.

    Il 24 giugno 2013, 90 anni dopo, viene naturalmente celebrata la ricorrenza, in un incontro alla presenza delle massime cariche dello Stato, del Ministro Carrozza e “di componenti del Governo, Parlamentari ed esponenti della Comunità scientifica”. Un incontro di altissimo livello, certo, ma dal programma ancora un po’ noioso se volete, banale nella sua prevedibile carrellata celebrativa e sbrodolativa (come fa intuire il titolo Una festa per il futuro e per i giovani). Ma gli organizzatori se ne devono essere accorti, ed ecco un ospite d’eccezione: Gianni Riotta, (copio e incollo per timore di sbagliare) “Editorialista per La Stampa, visiting professor presso la Princeton University e l’IMT Lucca”. Il giornalista italiano più famoso del mondo parla di Ricerca e innovazione oggi (due argomenti di cui è evidentemente esperto, più esperto di chi l’innovazione e la ricerca la fa di mestiere probabilmente).

    Io però, che sono un ignorante, mi domando cosa ci sia da festeggiare nell’anniversario di una istituzione strangolata dal fascismo sul nascere, che senso abbia celebrare senza ricordare (Vito Volterra, per esempio) e in fin dei conti a chi serve una festa della ricerca nel momento in cui la ricerca muore di tagli, di ANVUR, di idiozia. E soprattutto cosa avrà mai da dire un parolaio incompetente come Gianni Riotta, uno che da direttore del TG1 faceva le interviste a Berlusconi che Emilio Fede non aveva mai sperato di saper fare. Uno che siccome qui in Italia lo avevano già messo in tutte le posizioni possibili, hanno deciso di farlo visiting professor altrove. Una prova parlante e twittante del principio di Peter.

    Esprimo tutto il mio malriposto sdegno con il più classico degli sfottò, così:

    https://twitter.com/stekosteko/status/349232943996219393

    Quasi da legge di Godwin, in verità. Associare il lieto evento al calendario fascista. Insinuare che una boiata pazzesca come quella in programma sia “da non perdere”, usando quella maledetta ironia tipica degli hipsters più fastidiosi, che Riotta avrà imparato a conoscere bene a Princeton e a Lucca. E poi avviene l’inaspettato grottesco:

    Gianni Riotta (@riotta) ha ritwittato uno dei tuoi Tweet!
    Gianni Riotta (@riotta) ha ritwittato uno dei tuoi Tweet!

    E i miei 15 minuti di celebrità sono trascorsi con 131750 follower di @riotta che non capivano, non potevano capire. Meno male che @riotta non cancella i tweet dalla sua timeline. Meno male che è un vanesio che ritwitta senza nemmeno guardare chi lo ha menzionato, dando per scontato che sia un suo groupie, ed evidentemente non è così un guru di Twitter come gli piace dare a credere. Meno male che è un incompetente che non sa nemmeno riconoscere il calendario fascista. Meno male che continua a scrivere, perché non è Riotta in sé che mi preoccupa, ma Riotta in me.

  • @kryptops #12032297

    Trying to recover my Twitter account.

  • Innovation: Ubuntu Edge vs FairPhone

    “We’re fighting for free software running on top of hardware that was manufactured by slaves.” – Vinay Gupta at #ohm2013

    I have a smartphone, a Samsung Gingerbread device that does its job and allows me to use a mobile phone, check my email, use social networks and take decent pictures on the go (it does much more than that, actually). I have no need for an expensive alternative, so funding the Ubuntu Edge campaign was out of question. The Edge crowdfunding campaign will fail, even though it has been the biggest ever looking at the amount that was raised (but the Pebble campaign had more than twice the funders, and ultimately it was successful),

    Is the Edge really driving innovation? My answer is no, quoting Vinay Gupta above. Sorry, Canonical, but I want innovation-that-makes-Earth-a-better-place, not innovation-that-makes-me-more-productive. Innovation for human beings, that is.

    I think the Fairhone is a much more interesting project. The campaign shares many characteristics with the Edge, but it has had much less media coverage (because there is no Mark Shuttleworth here). The Fairphone aims at creating a more fair device that respects workers, using conflict-free resources (such as tin and tantalum), reducing the amount of waste in the production process. Interesting points:

    • they needed to reach a certain amount of pre-orders to be able to enter production;
    • they reached their goal and were able to produce 20,000 devices;
    • the final price is 325 €;
    • 13k phones sold so far ‒ more phones than the Edge campaign (see below);
    • you can still buy one, even if you didn’t contribute.

    The Edge campaign raised more than 12M $. The actual number of Edge devices “bought” by backers is 5300-ish. A lot of people only donated 20 or 50 $: again, I don’t see the rationale in funding the making of a device that you can’t afford or don’t want to buy.

    I didn’t even touch on the topic of Canonical, the Ubuntu community and the free and open source community. Or software at all. My next smartphone is likely going to be a FirefoxOS device. Maybe a Fairphone 3?

  • Out of Twitter

    I am currently locked out of my Twitter account, and for some reason the support tickets I submitted didn’t receive any response. In the meantime, you can have fun reading my blog and https://identi.ca/steko