Il mese scorso abbiamo celebrato la prima #MuseumWeek, una settimana di alta visibilità social per i musei di alcuni paesi, tra cui l’Italia ‒ tutta su Twitter. Se ne è parlato molto tra gli addetti ai lavori e mi sembra che tutti siano rimasti contenti. Anche io ho partecipato alla #MuseumWeek, occupandomi dell’account @archeoliguria della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria (dove lavoro). Siamo quasi in fondo alla lista dei musei italiani che hanno aderito ufficialmente.
Già in corso d’opera c’erano state raccolte di dubbi, più sullo svolgimento pratico che sull’iniziativa in generale, come ha scritto Linkiesta. Qui vorrei raccogliere, un po’ per riflessione un po’ per mugugno, alcuni elementi di debolezza che ho colto durante la settimana e che mi sembrano importanti per tutte le prossime volte che parteciperemo a una iniziativa simile.
Anzitutto, i tempi. La #MuseumWeek si è svolta dal 24 al 30 marzo 2014, e la notizia è comparsa sul blog di Twitter il 10 marzo, cioè due settimane prima. Per essere una iniziativa a cui dovevano partecipare centinaia di istituzioni in mezza Europa, il preavviso è stato scarso. Ma il motivo è presto detto: è stata organizzata completamente top-down, con date e tempistiche fissate in anticipo, fino alla definizione degli argomenti da trattare. Mi direte: è il bello del social, l’improvvisazione, e tu sei un bradipo! Vi rispondo che con 5 musei da coordinare distribuiti in tutta la regione, con una infrastruttura tecnologica non proprio all’avanguardia non è stato facile ‒ i bradipi quasi sempre fanno 4 o 5 cose diverse contemporaneamente e non dedicano l’intera giornata ai social media. I bradipi più bradipi sono stati quelli che già durante la #MuseumWeek mandavano e-mail chiedendo di inviare via e-mail dei messaggi di 140 caratteri che poi avrebbero provveduto a far pubblicare su un certo account istituzionale molto seguito…
A chi si iscriveva mandando una e-mail a museumweek2014@gmail.com veniva inviata da Massimiliano D’Ostilio (della società TTA) una breve presentazione in cui si scoprivano i temi del giorno e le modalità previste di interazione. Si tratta secondo me di un documento banale, di taglio puramente promozionale, in cui sono stati elencati solo benefici e nessun rischio (l’ABC della progettazione, credo). Tanto per fare due esempi concreti: i musei italiani hanno corso il rischio di essere insultati per i noti problemi di gestione del patrimonio (durante quella settimana non credo sia successo, ma capita), mentre gli utenti hanno rischiato di trovarsi la timeline inondata di contenuti non sempre interessanti (e credo che in alcuni giorni questo sia successo davvero).
La scaletta delle tematiche era molto adatta a musei grandi e tradizionali, ruotando in modo determinante intorno alle collezioni, le opere e i quadri, insomma non il massimo per piccoli musei e aree archeologiche. In effetti se rileggete il post di presentazione questa preferenza è chiara, dal calibro dei musei citati (e speriamo coinvolti nell’ideazione, almeno loro). Sopra ho scritto che questi sono appunti per la prossima volta che parteciperemo proprio perché la #MuseumWeek, bella ed entusiasmante, era una offerta da prendere o lasciare ‒ anche se qualche museo l’ha interpretata a modo suo.
Ma insomma, tutti questi sono inutili mugugni perché la #MuseumWeek è stata una figata pazzesca e siamo stati nei trending topic per una settimana intera e abbiamo moltiplicato i follower e abbiamo avuto n-mila interazioni… forse. Siamo stati nei trending topic ma eravamo veramente tanti quindi era abbastanza scontato, oltre al fatto che Twitter potrebbe aver deciso di mettere la #MuseumWeek nei trending topic. Abbiamo moltiplicato i follower, indubbiamente, e per molte realtà piccole e agli esordi social questo è stato importante: @archeoliguria è passata nell’arco della settimana da 200 a 300 follower circa. Abbiamo avuto davvero molte interazioni, che non mi sono messo a contare, ma sulla qualità di queste interazioni ho qualche dubbio: anzitutto c’è stato un fortissimo senso di cooperazione tra le realtà medio-piccole e ci siamo fatti coraggio a vicenda, ritwittando i messaggi degli altri musei, commentando e rispondendo alle domande del giorno tra di noi, mentre il pubblico “esterno” ha interagito meno (potrei dire molto meno, se avessi dei numeri). Giornate come #AskTheCurator e #GetCreative hanno mostrato come il pubblico, anche quando si entusiasma, è abbastanza pigro o semplicemente non è abituato a parlare con il museo ‒ anche perché c’è una ampia fetta di popolazione “esperta” di archeologi, storici dell’arte, guide turistiche che forse ha partecipato più per senso di appartenenza che per curiosità verso qualcosa di nuovo. Generalizzando, mi dispiace invece notare come i grandi musei e poli museali abbiano scelto ancora una volta di rimanere in modalità broadcasting, sfruttando tutta la loro visibilità per mostrarsi al pubblico con cui non hanno minimamente interagito. Delle vere superstar. A proposito di superstar, è rimasto un po’ in sordina anche l’esercito sempre più numeroso dei personaggi parlanti che hanno iniziato a popolare Twitter dopo il successo dei due tamarri bronzi di Riace (a proposito: che fine avranno fatto?)
Tutto da buttare? Assolutamente no. Ma non è tutto #oro quel che #luccica e non credo, come ha invece scritto @insopportabile, che Twitter abbia assolto al ruolo di un ministero della cultura organizzando la #MuseumWeek. Il successo lo abbiamo fatto noi ma credo che ci voglia ben altro per trasferire il successo social ai musei in carne e ossa: non dobbiamo vendere niente, ma raccontare tantissimo.
Lascia un commento