Archeostorie a Genova

Il 7 maggio 2015 la tournée di Archeostorie ha fatto tappa a Genova. Grazie a Fabio Negrino, ci siamo trovati in una gremita aula universitaria in via Balbi 2. Per via dell’incendio che era scoppiato a Fiumicino nella notte, Cinzia Dal Maso è rimasta bloccata a Roma, e a rappresentare Archeostorie c’erano Francesco “Cioschi” Ripanti, Marina Lo Blundo e il sottoscritto.

Anche se è passato qualche giorno ho ancora addosso l’entusiasmo per la bella giornata e serata di giovedì scorso. Entusiasmo anzitutto per tutte le persone che sono venute ad ascoltare, e soprattutto a dire la loro.

Silvia Pallecchi ci ha regalato una emozionata orazione, ci ha spiegato meglio di come avremmo saputo fare noi che Archeostorie parla di due mondi fatti di mestieri codificati e mestieri non codificati, che devono parlare, che i mestieri non (ancora) codificati sono difficili ma necessari carburanti per il rinnovamento. Eleonora Torre ci ha parlato senza filtro di cos’è l’archeologia fuori dagli uffici, dalle aule, con i piedi nella terra e la testa salda sul collo ‒ Eleonora ci ha anche strappato un applauso spontaneo e perentorio quando ha ricordato ai più giovani l’importanza di avere dei maestri, come è stato per tanti di noi Tiziano Mannoni. Marta Conventi ci ha raccontato che l’idea di una archeologia che cerca il suo pubblico ha già messo radici solide anche in Soprintendenza. Vincenzo Tiné non ha fatto sconti nel descrivere tutte le difficoltà che, anche con le migliori intenzioni e capacità, gli archeologi dovranno affrontare nell’immediato futuro se vorranno trasformare la parola in azione, proprio a partire dalle Soprindentenze amputate della valorizzazione. Andrea De Pascale, che tante delle storie del libro le ha già messe in pratica al Museo Archeologico del Finale, ci ha confortato, ci ha detto che sì, questa è la strada giusta e i musei devono essere luoghi in cui sono prima di tutto le persone a parlare con il pubblico. Fabio Negrino ci ha guidato lungo questa lunga chiacchierata, raccontando al pubblico come questi 34 autori si siano trovati dietro la stessa copertina (per chi se lo fosse perso, è stato il Day of Archaeology 2014 a far scoccare la scintilla), e anche di come aver accettato a scatola chiusa di organizzare questo incontro si sia rivelato un buon investimento. Tanti altri sono intervenuti, chi per raccontare la sua (archeo)storia, chi per ricordarci di non perdere di vista la ricerca archeologica che è “l’arrosto” della situazione, chi per fare domande o semplicemente condividere un pensiero in libertà. Archeostorie ne è uscito non più come un libro, ma un invito a discutere, a confrontarsi e costruire qualcosa di nuovo. Un manuale di idee, di sopravvivenza. Un manuale per il futuro, su cui forse nei prossimi anni qualcuno potrà studiare, non per trovare regole e prescrizioni, ma idee… asce di guerra come mi piace dire.

A distanza di qualche giorno, credo che non potessimo sperare di meglio, tanto più che abbiamo venduto anche tantissime copie del libro. A occhio credo ci fossero 80 persone, dagli studenti liceali ai padri fondatori dell’archeologia medievale, dagli archeologi del paleolitico a quelli dell’età contemporanea ‒ e questo secondo aspetto non è da poco visto che gli autori del libro, per quanto numerosi, non abbracciano certamente l’ampiezza di studi, tradizioni e passioni che c’è nell’archeologia italiana. Per chi ha la memoria lunga, questa presentazione è stata un ritorno su uno dei tanti possibili luoghi del delitto per la filogenesi di Archeostorie: a Genova, dal 2005, al grupporicerche, prima Matteo Sicios e qualche anno dopo Marina Lo Blundo iniziavano a parlare di “Comunicare l’archeologia”, di sdoganare l’archeologo-che-comunica come una figura legittima. Anche Matteo era lì nell’aula.

La registrazione video che ho fatto è finita su Youtube: anche se l’audio non è particolarmente buono mi sembrava importante che ci fosse una memoria di quello che ci siamo detti. Sono quasi tre ore ininterrotte di dialogo.

Mentre tornavamo in macchina a Torriglia con Francesco ho cercato di spiegargli quanto fosse particolare avere così tanti archeologi liguri, di tutte le età e formazioni, insieme per una volta non solo ad ascoltare ma a dialogare. Francesco mi ha detto che aveva capito che c’era stato qualcosa di speciale anche per noi genovesi nel ritrovarsi a parlare del futuro dell’archeologia. Sarà che nelle tappe precedenti non si erano visti gli studenti intervenire e dire la loro, sarà che alcune delle storie del libro hanno toccato delle corde importanti per tanti di noi. Per me era una giornata speciale, ho visto sedute nella stessa stanza tante persone con cui ho condiviso parti della mia vita e che mi hanno insegnato qualcosa, come archeologo e come persona, prima a Genova, dentro l’università e soprattutto fuori, poi a Siena e infine di nuovo a Genova. Alcuni di noi hanno proseguito l’incontro a cena, di nuovo senza distinzione di età né specialismi ‒ insomma, tira una bellissima aria a Genova e spero che non vada persa come a volte è successo in passato. Si è parlato molto di passione, e spero che il 7 maggio per qualcuno si sia (ri)accesa un po’ di passione per l’archeologia fatta non solo di esami, crediti formativi, riunioni di dipartimento, pubblicazioni specialistiche, atti amministrativi e bilanci striminziti.

Nel frattempo Archeostorie si è meritato uno spazio su Repubblica (e non so cosa dire sui quotidiani genovesi a cui ho mandato il comunicato stampa sulla presentazione, ma lasciamo perdere), e a breve inizierà a circolare la ristampa. Avanti così, che l’inse.


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